Marco Pannella (foto LaPresse)

Marco, uno e centomila

In un discorso del 1993, con Craxi nell'angolo, c'era l'idea di giustizia di Pannella, venuta dal futuro

Guido Vitiello

Di tutto quel dibattito avvilente si ricorda solo l'intervento straordinario di Craxi e non anche quello di Pannella; perché era un intervento venuto dal futuro, che spiegava le radici profonde dello scontro in atto, ma anche gli scontri del ventennio a venire, indicando una via d’uscita che forse, visti i tempi, imboccheranno i figli dei nostri figli.

 

Con Leonardo Sciascia ci lascia un uomo d’altri tempi, speriamo futuri”, aveva scritto Pannella il 21 novembre del 1989, annunciando che avrebbe prestato da quel giorno in poi il piccolo ma instancabile megafono di Radio Radicale alla riproposizione dei discorsi parlamentari e delle interviste di Sciascia, così da dare a quella speranza un’occasione in più di prender forma, presto o tardi. Molte altre volte disse lo stesso di sé – uomo d’altri tempi, speriamo futuri – e sappiamo bene quanto spesso la storia si è presentata ai suoi appuntamenti con dieci, venti o cinquant’anni di ritardo. Lui era lì ad aspettarla nel luogo convenuto, senza fissare l’orologio, fumando mille sigarette. Un profeta, dunque? Al contrario, ai miei occhi Pannella ha una caratteristica che è privilegio dei classici, l’inattuale attualità, l’esser pienamente calati nella storia e tuttavia saper sgusciare alla sua presa, non sottostare al suo ricatto.

 

Da oggi, perciò, più che di ricordare si tratterà di gettare ami nel suo torrente di parole per pescarne quel che ancora hanno da annunciare, da indicare o da scommettere per altri tempi, speriamo futuri. Per parte mia, lancio oggi stesso il mio primo amo, ripescando alcune parole che Pannella pronunciò alla Camera dei deputati in occasione del voto sull’autorizzazione a procedere per Bettino Craxi, il 29 aprile 1993. Su tutto quel dibattito avvilente – tra i farisei del Pds, gli zeloti della Rete, la folla che urlava crucifige! e le varie incarnazioni dello spirito pilatesco – si stagliano due interventi straordinari. Il primo, quello di Craxi, è giustamente noto. Del secondo, quello di Pannella, non si ricorda nessuno; perché era un intervento venuto dal futuro, che spiegava non solo le radici profonde dello scontro in atto ma anche degli scontri del ventennio a venire, indicando una via d’uscita che forse, visti i tempi, imboccheranno i figli dei nostri figli.

 

Ecco alcune delle molte cose che disse quel giorno Pannella, un po’ rimaneggiate e sintetizzate nella mia trascrizione: “Il contesto storico, giuridico e giuridico-materiale che noi ereditiamo è il prodotto mostruoso di utopie parziali irresponsabili, mostruose anch’esse; bellissime – come i mostri, come il monstrum – ma mostruose. Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale è una grande conquista pseudo-illuministica, perché gli illuministi avevano una ragion critica anche rispetto a sé stessi. Invece si è fatto dell’ideale della giustizia perfetta e dell’obbligatorietà dell’azione penale un dogma acritico contro le verità pragmatiche ed empiriche della storia del nostro paese. Sotto l’usbergo dell’obbligatorietà in Italia si è affermato l’arbitrio strutturale, ideologico, l’arbitrio pratico di un ceto, di una casta di chierici e di clericali. Altrove l’azione penale è sottoposta al giudizio politico estremo e democratico del cittadino, o ne risponde direttamente l’esecutivo e il ministro della giustizia, in base alla regola democratica che chi esercita un potere risponde di questo potere, offrendo così la via per eventuali alternative di persone, di poteri o di gruppi.

 

Da noi invece la menzogna feroce, quotidiana, costante dell’obbligatorietà si è trasferita in modo assoluto, senza nessun fondamento e senza nessun riscontro, nell’autorità giudiziaria, affidando l’esercizio della politica criminale all’arbitrio, alla sensibilità, alla cultura, all’antropologia, alle nomine, alle cosche, alla ragion di partito, di parte o politiche nelle quali naturalissimamente si è costituito anche il corpo giudiziario. Siamo l’unico paese al mondo in cui la politica criminale è potere diffuso di ogni singolo magistrato, con una sacralizzazione etica del valore del giudice. All’esempio delle altre democrazie dobbiamo guardare, non a questa stolta provincialità italiana per la quale abbiamo ritenuto di aver creato un nuovo ordine della giustizia da proporre al mondo”. Questo diceva l’uomo d’altri tempi il 29 aprile 1993. A futura memoria (se la memoria ha un futuro).