Sul referendum si è passati dalla personalizzazione alla gruppizzazione, ma quasi nessuno sa bene su che si vota

Giovanni Maddalena
La personalizzazione si capisce, è l’unica strada che hanno i “sì”. Ma dopo la personalizzazione c’è la gruppizzazione, solo che stavolta il gioco non funziona. Lo schieramento sul voto al referendum presenta asimmetrie tali che è difficile destreggiarsi con i consueti gruppi basati sulla distinzione amico/nemico. E il merito?

Questa storia del referendum è splendida per chi sta attento a ciò che parole e gesti tradiscono (“not say but betray” dice il filosofo Charles S. Peirce Peirce). Cominciamo dalla personalizzazione con cui il premier ha deciso (con qualche incertezza) di giocare la partita del referendum. Dal punto di vista comunicativo si capisce. Personalizzare vuol dire trasformare tutto in nome proprio, in indice, ed è forse l’unico modo per appassionare la gente ad andare a votare su un referendum la cui tecnicità finirebbe sicuramente per lasciar vincere il “no”. Come insegna Galli della Loggia si vota più contro che a favore. Berlusconi ha vinto perché chiedeva il voto contro i comunisti e Renzi ha vinto gare interne del Pd con il grido contro i vecchi.

 

Per andare a votare ci vuole un po’ di passione personale e, se Renzi non personalizza lo scontro, quelli del “sì” non hanno motivi per andare a votare. Mentre chi vota “no” ritenendo la riforma stessa il nemico, ha già dei motivi forti e lo scontro lo ha già personalizzato in cuor suo. Così dopo Renzi e Boschi, nella corsa alla personalizzazione è entrato anche (al solito) l’ex-Presidente Napolitano che ha detto che “mi offende” chi dice di votare “no” per difendere la Costituzione.

 

Dunque, la personalizzazione si capisce, è l’unica strada che hanno i “sì”. Tuttavia, ovviamente dal punto di vista logico, non ha senso votare perché “rimanga Renzi” o “se ne vada la Boschi”. Se loro legano la loro vicenda politica all’approvazione del referendum, fanno una scelta personale che nulla ha a che vedere con i buoni motivi per votare una riforma o per non votarla.

 

Tuttavia, sospinta dall’onda comunicativa, la fallacia ad hominem, l’errore per cui qualche cosa è vera o falsa perché la dice una certa persona o per le circostanze in cui si trova una certa persona regna sovrana (a proposito) e cresce. Così, dopo la personalizzazione c’è la gruppizzazione. Ci sono persone che vogliono votare “sì” perché “dicono no quelli di Magistratura Democratica”, “perché mi ritroverei con gli intellettuali di sinistra che hanno sempre detto che la Costituzione è sacra”, “perché dicono no quelli di casa Pound”. E, con grande pluralismo, altri votano no “perché i toscani mi hanno scocciato”, “perché dalla parte del sì ci sono Verdini e tutti i massoni”, “perché l’ha detto anche Gandolfini, quello del Family day”. Così la personalizzazione è diventata la gruppizzazione.

 

Nessuna novità, è uno schema che fa parte del gioco politico solito. Non sarà del tutto logico ma fa parte del trasferimento di credibilità e di discredito che c’è nelle relazioni sociali (c’è un bel libro di Guido Gili sul tema). E' un modo per tenere in conto che la politica è fatta anche di passioni e che queste passioni sono anche relazioni. Solo che stavolta il gioco non funziona. Lo schieramento sul voto al referendum presenta asimmetrie tali che è difficile destreggiarsi con i consueti gruppi basati sulla distinzione amico/nemico e relazioni successive (l’amico del mio amico è mio amico; il nemico del mio nemico è mio amico ecc.). Zagrebelskij e Salvini sono nello stesso gruppo, mentre nell’altro troviamo insieme Violante e Formigoni. Non ho seguito bene ma, a proposito, Gandolfini e Vendola penso siano dalla stessa parte. Come a un matrimonio scomodo, dovunque ci giriamo ci ritroviamo sempre con qualcuno che non vogliamo.

 

Rassegniamoci, stavolta con la personalizzazione e con la gruppizzazione non ce la possiamo fare ad andare a votare lasciando tranquilla e serena la parte “contro” della nostra coscienza. Sono sicuro che pochi lo faranno perché non funziona così la politica, ma stavolta si dovrebbe andare a votare ragionando sul merito.