Intervista al capo di Bnl
Gli imprenditori devono schierarsi sul referendum. Appello di Abete per il “sì”
Roma. “In una fase molto delicata come quella che stiamo vivendo il ceto dirigente ha il dovere di non nascondersi e ha l’obbligo morale di esprimersi su ciò che ritiene sia giusto o sbagliato per il futuro del paese. Il referendum costituzionale è un appuntamento cruciale per l’Italia e un ceto dirigente dotato di senso di responsabilità non dovrebbe soltanto esprimersi a favore ma dovrebbe anche spendersi in prima persona per non far perdere all’Italia un treno che chissà quando ripasserà”. Luigi Abete, past president di Confindustria, all’indomani del primo discorso pubblico di Vincenzo Boccia, nuovo presidente del sindacato degli imprenditori, accetta di chiacchierare con il Foglio sul futuro di Confindustria, sul futuro dei rapporti tra imprese e governo, sul futuro di Renzi e sul futuro di quello che Abete considera oggi un passaggio epocale per il nostro paese: il referendum costituzionale. Abete sostiene con convinzione di essere in sintonia totale con il pensiero del successore di Squinzi, rivendica la necessità del sindacato degli imprenditori di essere no partisan attraverso la declinazione di una tripla A (Autonomi, Apartitici, Agovernativi), si dissocia da quei colleghi imprenditori che “si nascondono e non hanno il coraggio di esprimersi per la semplice ragione che aspettano di capire chi sarà il vincitore per salire sul suo carro” e aggiunge un passaggio in più rispetto al ragionamento formulato da Boccia, sostenendo che chi ha interesse a dare una svolta a questo paese dovrebbe impegnarsi in prima persona in questo referendum.
“Il presidente Boccia fa bene a dire che il combinato disposto tra referendum costituzionale e legge elettorale avrà l’effetto di creare un paese migliore, più funzionante, più stabile, più governabile, che Confindustria sogna da tempo. Lo sostengo da tempo e anche per questo ho deciso che costituirò con alcuni colleghi ed amici un comitato per il sì e lo farò con lo stesso spirito con cui nel 1999 mi mobilitai per organizzare un comitato favorevole e trasversale per introdurre il maggioritario per via referendaria”.
Abete suggerisce senza ironia, a chi non ama Renzi ma condivide la riforma Costituzionale, di fondare un comitato ad hoc da chiamare “referendari per il sì, nonostante Renzi” e all’interlocutore che gli chiede se sia stupito dal fatto che il giornale della borghesia, il Corriere, mostri un certo distacco dal referendum Abete risponde con un sorriso. “Non commento le scelte editoriali dei giornali. Dico una cosa soltanto. Dico che l’imprenditore neutrale non esiste. Esiste, semmai, l’imprenditore astuto, che aspetta di capire da che parte andrà la corrente del fiume prima di immergersi in acqua”. Rispetto ai temi affrontati giovedì mattina dal nuovo presidente di Confindustria, Abete concorda con il Foglio sul fatto che la parte centrale del ragionamento di Boccia sia lo scambio tra salario e produttività ma non crede, come scritto ieri da questo giornale, che la paternità del tema della contrattazione aziendale sia da attribuire a Sergio Marchionne.
“Fatico a capire – dice Abete – le ragioni che spingono Marchionne ancora lontano da Confindustria e credo che oggi il capo di Fca potrebbe anche riconoscere che non è mai stato il sindacato degli imprenditori a essere contrario a dar vita a una nuova stagione di contratti di lavoro. Confindustria è da sempre favorevole a questa impostazione. Lo fui io già nel 1992. Ma in questa fase storica, come ha detto Boccia, va riconosciuto che ci sono le condizioni per fare un passo in avanti rispetto al passato. Ci può e ci deve essere un’evoluzione nel nostro metodo di lavoro e sono convinto che la fine delle prassi legate alla stipula del contratto nazionale toglieranno potere alle burocrazie sindacali e porteranno maggiore ricchezza non solo ai lavoratori ma anche al paese”.
Abete, rispetto al tema del mercato del lavoro, considera l’abbinata tra jobs act e contrattazione aziendale un binomio imprescindibile come lo è l’italicum più la riforma costituzionale e relativamente al tema del buon funzionamento della riforma del lavoro offre uno spunto interessante. “A chi mi chiede se il jobs act funzioni e se l’abolizione dell’articolo 18 sia stata o no una mossa corretta io dico che solo chi è guidato da un forte pregiudizio può dire che le cose oggi vadano peggio rispetto a due anni fa. I posti di lavoro stanno aumentando. Il mercato del lavoro è più flessibile. Gli imprenditori hanno avuto un incentivo importante ad assumere nelle aziende. Tutto questo è vero ma anche chi, come me, ha sempre creduto che abolire l’articolo 18 fosse tutto tranne che una priorità deve riconoscere l’impatto che ha avuto il jobs act fuori dai confini italiani”.
Presidente, però i mercati non danno posti di lavoro. “Mi spiego meglio. L’articolo 18 era diventato uno dei grandi simboli dell’immobilismo italiano e gli osservatori stranieri, compresi i mercati finanziari, avevano legato l’incapacità italiana a fare riforma alla persistenza di quell’articolo. Sul piano delle assunzioni l’abolizione dell’articolo 18 non ha avuto finora un effetto esaltante. Ma sul piano dell’affidabilità offerta dal paese all’estero quell’operazione è stata magistrale. E se l’Italia oggi in Europa riesce a contare qualcosa, e se un giorno riuscirà a ottenere anche maggiori fondi per investire nel nostro paese, lo deve anche a quella scelta importante. Insomma: non siamo più percepiti come un paese ingovernabile, e non mi pare poco”.
Abete, continuando nel suo ragionamento, critica il presidente del Consiglio per la mossa “non utile” sulla tassazione sulla casa – “gli alleggerimenti da fare in Italia sono sulle persone, non sulle cose, l’Imu era una tassa sacrosanta – mentre promuove il governo sugli ottanta euro, “che hanno dato oggettivamente uno stimolo ai consumi”, e sulla politica di riduzione delle tasse – “dobbiamo continuare quanto prima ad alleggerire il carico fiscale alle imprese, non solo per quanto riguarda l’ires ma anche sul cuneo fiscale, integrando la riduzione dell’Irap del 2015”. “Renzi – continua Abete – sta operando bene e ha capito meglio di altri suoi colleghi passati e presenti quali sono le priorità del nostro paese e anche per questo credo che sia giusto che Confindustria sostenga quelle battaglie che ritiene corrette. L’essere favorevoli ai provvedimenti del governo però non deve costituire la bussola unica per valutare il proprio orientamento rispetto al referendum Costituzionale. Anche se effettivamente il premier ha personalizzato molto il voto di ottobre, a mio avviso troppo, il punto qui è diverso: si tratta semplicemente di dire no a un’Italia che sogna l’ingovernabilità, che sogna la fragilità di un premier, che sogna la debolezza sistemica dell’esecutivo e che, in definitiva, spera di far guidare il paese non a un governo legittimato dal popolo ma a un governo schiavo del modello consociativista. Il nuovo assetto istituzionale darà più potere al governo e gli permetterà una volta per tutte di dover rispondere non alle lobby ma a quelli che sono i veri e unici azionisti del governo di un paese maturo: gli elettori e l’economia reale. Bisogna schierarsi e non nascondere la faccia. L’occasione è storica e vedrete: ce la possiamo fare”.