Le comunali sono un giro di ricognizione per Renzi, ancora in pole position
Ci siamo: finito il chiacchiericcio che ha accompagnato una brutta campagna elettorale, domani sera alle 23 si passerà ai fatti, cioè al voto negli oltre 1.300 comuni, tra cui spiccano i cinque considerati dai più come test politici nazionali: Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna. E’ un giro di ricognizione per Renzi che è ancora in pole position.
Solo una sconfitta pesante e generalizzata del Pd potrebbe metterlo in seria difficoltà di immagine. In qualsiasi altra configurazione il premier avrà buon gioco a dire che le amministrative sono una cosa, il referendum costituzionale un’altra e le elezioni politiche un’altra ancora.
Non sono da escludere corpose sorprese. Gli elettori di Roma ad esempio potrebbe smentire i sondaggi che fino a due settimane fa davano la candidata del M5s Virginia Raggi in testa e largamente favorita per la vittoria. Sul palco della kermesse che a piazza del Popolo ha chiuso la sua campagna elettorale c’erano bei nomi. Dario Fo, incazzato con Benigni perché ha detto che voterà sì al referendum di ottobre, annuncio invero assai cervellotico (voto 5). Claudio Santamaria fresco di jeeg robotizzazione. E Fiorella Mannoia che non si capisce perché accorre dove sono gli incazzati per la qualsiasi. Una stima precisa della partecipazione popolare, anzi come dicono loro dei cittadini, non è facile ma è inutile: contano l’entusiasmo, la sensazione di essere alla vigilia di qualcosa di storico e questo era palpabile in tutta la piazza.
Fossi in loro però non vedrei un segnale molto positivo nelle ultime e nobili adesioni alla causa, sono sì artisti e luminari ognuno nel proprio campo ma quando decidono di schierarsi politicamente e si pensi alle piroette del premio Nobel non ne imbroccano una, anzi portano un filo di sfiga.
Martedì su Sky c’era stato er “Confronto” fra i cinque principali candidati. L’indagine effettuata a caldo (ma non si sa bene con quali criteri statistici e su quale campione) ha confermato che il consenso per la Raggi è molto alto, avrebbe convinto il 43 per cento dei telespettatori, il doppio di Giachetti e Meloni. La percentuale è tanto più stupefacente che la performance della giovane avvocatessa non è stata delle migliori. E’ apparsa fredda, priva di empatia, come se si muovesse con il pilota automatico, a ogni obiezione ha replicato mettendo gli avversari nello stesso paniere, tutti corrotti e corresponsabili del quarantennale (non esageriamo via) disastro in cui versa la città. Solo il M5s potrà garantire palingenesi e resurrezione, grazie a un due tre, bum bum bum, legalità, reddito di cittadinanza e cacciata di Equitalia.
E’ un loro menu fisso, stanno provando a cucinarlo in tutte le città che governano da mesi o da qualche anno ma i risultati ancora non ci sono. Più tradizionali le proposte di Giachetti Meloni e Fassina, Alfio Marchini ha buttato là qualche idea interessante sulla gestione del debito ma nessuno dicasi nessuno, nemmeno la 5 Stelle, ha osato andare contro le partecipate e le municipalizzate, che sono il vero cancro della città.
Da tempo i sondaggi prendono clamorose topiche: se questa volta dovessero rivelarsi esatti vorrà dire che l’insofferenza verso i partiti tradizionali ha raggiunto ormai un punto di non ritorno, è indipendente dalla qualità e dalle facce di chi si presenta e allora la candidata dei 5 Stelle vincerà .
Se invece ci sarà una riedizione del risultato delle europee che provocò in Grillo la ben nota acidità di stomaco, allora il movimento che a tutt’oggi sembrava insediato stabilmente nel panorama politico comincerà ad avvitarsi. A botte di “sono arrivato tre” non si costruisce né bipolarismo né alternanza.
RENZI COMUNQUE...
Più che un problema immediato di consenso in vista del referendum, il premier ha un problema più grave che è di sostanza dell’azione di governo e di comunicazione: è sempre sorridente, dinamico, un “battant” direbbero i francesi che hanno Hollande, Valls e Macron e uno così se lo sognano davvero. Solo che ogni giorno che passa sembra più leggero.
Prendiamo l’immigrazione. Non può continuare a nascondersi dietro la mitica proposta di Migration Compact che nella migliore delle ipotesi non è di immediata attuazione e darà risultati, se ne darà, a babbo morto. Né dietro l’appello fasullo alla solidarietà europea: l’Europa non c’è e non ci sarà, come non c’è stata in Grecia. Inutile menare il cane per l’aia, l’Italia dovrà sbrogliarsela da sola, dovrà approntare strumenti e dispositivi per fronteggiare un flusso destinato ad aumentare per tutta l’estate e dirlo chiaramente agli italiani.
L’irresolutezza in materia d’accoglienza ricorda l’amnistia del dopo anni di piombo: che fu fatta, perché siamo pur sempre cristiani e misericordiosi ma all’italiana cioè senza dirlo e senza che si sapesse in giro. Fu quella una scelta maligna e intelligente della vecchia scuola democristiana e funzionò egregiamente ma oggi, di fronte alle immagini mandate in loop di barconi che si rovesciano, di cadaveri che galleggiano e di bambini finiti in pasto ai pesci la politica del fare senza dire, del fare un po’ senza prepararsi troppo è controproducente. E pericolosa.
BELLO SENZ’ANIMA
E’ stato un bel 2 giugno, colorato, tanti volti di bravi soldati, primi cittadini appassionati e un presidente della Repubblica che sembrava all’inizio schivo e timido ma sta dimostrando di non esserlo affatto, insomma ci ha preso gusto, gli italiani se ne sono accorti e hanno cominciato ad amarlo. C’era pure il sorriso luminoso del ministro Pinotti contenta perché i fucilieri di marina sono finalmente entrambi a casa. Eppure.
C’è sempre qualcosa che non convince in questa festa che non riesce a scrollarsi di dosso l’immagine di festa di stato e non di popolo. Per quanta retorica si impieghi, per quanti buoni sentimenti si spandano, non è e non sarà mai il 4 Luglio degli Stati Uniti né il 14 luglio della Francia. Non facciamo milioni di barbecue e non balliamo la java nelle caserme.
Non celebriamo la fondazione della Nazione che risale a molti decenni prima né una rivoluzione di valore universale. Indeboliamo il sentimento di comunità nazionale dimezzando la nostra storia dall’Unità a oggi e celebrando la nascita di una Repubblica che a pensarci bene altro non è che una forma di stato, non peggiore di altre ma nemmeno migliore.
ANTIMAFIA CHI?
Ancora impresentabili, ancora bollini qualità rilasciati dalla Commissione Bindi, una stortura che non mi sembra abbia eguali in altre democrazie. Ancora un insulto alla politica e all’intelligenza degli elettori. In questa logica da demente è impresentabile chiunque abbia subito una condanna senza nemmeno stare a vedere per quale reato. Simone Di Stefano vice presidente di Casa Pound è stato condannato per furto: per protesta si inerpicò fino al pennone da cui sventolava una bandiera dell’Unione europea e la rimosse. Già incriminarlo e condannarlo è stato una cosa da pazzi, conseguenza insana dell’obbligatorietà dell’azione penale e su questo credo che persino Marco Travaglio potrebbe essere d’accordo. Ma addirittura dichiararlo impresentabile.
La democrazia ha questo di grande: che chi le bandiere le brucia potrebbe un giorno essere eletto al governo del paese.
ORA E SEMPRE GUZZANTI
Nel senso di Corrado (voto 10 e lode) che ha inventato Mario Bambea, intellò pallosissimo e de sinistra che ha un disturbo bipolare e la sera si sdoppia in Bizio Capoccetti, orrendo becero scoreggione di borgata. Lo assiste Dragomira, badante rumena che si occupò “di Paolo Mieli fino alla morte”. Da piegarsi in due.
E nel senso di Sabina (voto 10): grande il suo TG Porco, l’imitazione della Meloni in giacca e pantaloni neri che deve fare il matrimonio come lo chiamate voi, rottamatore, no riparatore, e risponde” e ‘sti grandissimi cazzi” è irresistibile.