Buongiorno, ha vinto Giachetti
Stamattina, la mattina di lunedì 20 giugno 2016, il sole che scotta, la luce gloriosa, valeva la pena di essere qui, sul presto. Sul Campidoglio. A godersi lo spettacolo. Si è votato ieri, hanno fatto lo scrutinio perfino senza ritardi. Nessun nuovo sindaco che arriva in bicicletta, come Ignazio Marino nel 2013, con dietro i pizzardoni a pedali che sbuffano e già smadonnano (e s’era già capito come sarebbe andata a finire, coi vigili di Roma). Nessun fastidioso popolo dei campanelli, come i grillini alle biciclettate elettorali della Raggi. Niente di niente, Virginia Raggi ha perso. Non male ha perso, ha perso peggio: come tutte le aspiranti Giovannine d’Arco che pensano di arrivare e passare l’aspirapolvere sulla politica. Non le hanno creduto: siamo a Roma, mica a Quarto Flegreo.
Così adesso su dalla salita sgomma la motoretta di Roberto Giachetti, ha vinto lui. Puntuale al lavoro, senza fare il cinema. Valeva la pena essere qui ad aspettarlo, assieme agli altri cronisti. Anche a quelli che rosicano, eccome se rosicano. Destra o sinistra, quelli con l’endorsement anti renziano purchessia nella penna, come un colpo in canna. Quelli spediti lì per punizione da Chicco Mentana, che ieri notte in diretta rideva un po’ meno, come un orfano. Quelli dei talk, che adesso senza l’epopea farlocca dell’onda d’urto del popolino di Grillo non sanno più che cosa raccontare. E invece noi qui, a raccontare come la politica è diventata più logica, più normale, da quando i romani hanno votato il sindaco Giachetti. Non ha ancora iniziato, sta salendo in questo momento le scale. Ma guardi in giro, ed è già venuto il giorno che “spariranno tutti i rompicoglioni”, come cantava il Poeta (ma era milanese, va’).
Bob Saviano dev’essere svenuto, gli è andata di traverso Mafia Capitale. Il professore Tomaso Montanari c’è rimasto male, non è diventato assessore conservatore alla Cultura, è già lì pronto a incatenarsi al Foro Boario: per difendere vuoi la Costituzione, vuoi il Belpaese. Non c’è più Matteo Salvini col suo endorsement che era contro Berlusconi: ripartito come un turista del weekend con la Pivetti nel sacco (“corri corri, untorello, non sarai tu che spianti Roma”). E Giorgia Meloni, pronta pure lei a prendersi la leadership nazionale della nuova destra? Come al Gioco dell’oca è tornata al Circo Massimo da cui era partita: a non contare un tubo come Adinolfi e il Family day. Spariti pure quelli che già brindavano al funerale del Partito della nazione, e tutti i massimi pensatori che già disegnavano nuove architetture costituzionali fondate sul tripolarismo. E adesso sono lì, col disturbo bipolare, a chiedere a Settis e Zagrebelsky se reggerà questa democrazia, alla scomparsa della Raggi. Al Corriere non sanno più che editoriale scrivere, c’è Galli della Loggia che va in confusione tra il Cesare democratico e Cesare deve morire. Ilvo Diamanti è già passato al Fatto quotidiano, come una Spinelli qualsiasi. E intanto i Fori sono già riaperti al traffico. E invece Totti, fresco di contratto e forse anche di edificando nuovo stadio, gira festoso col bandierone della Maggica Olimpiade, che si farà. E questa è la cronaca fedele della mattina del 20 giugno 2016, di come s’è fatta più logica l’Italia con Giachetti sindaco. Perché qui, a Roma, è stato un voto politico nazionale.
(Almeno vista da qui, da Milano. Dove, per dovere di cronaca, aggiungiamo che questa mattina 20 giugno va tutto molto bene. E’ stato un bel voto amministrativo. Ha vinto il migliore).