Prognosi del berlusconismo
Una volta, appena operato e guarito, chiese all’amico che era andato a trovarlo in clinica: “Scommetti che non avevo niente, e questi medici mi hanno operato per farsi pubblicità?”. E sempre Silvio Berlusconi si è rapportato in modo gagliardo alle grandi malattie, quelle del suo corpo e quelle della sua politica, dando sempre del tu al pericolo, un po’ per esorcismo e connaturato ottimismo, per gioia birbante e allegra megalomania, così ha dato del tu al cancro alla prostata, che lui ha combattuto e sconfitto, così alla decadenza da senatore, agli alterni impicci e ai guai che hanno ininterrottamente agitato la vita litigiosa delle sue ventennali coalizioni di governo. La forza, per il Cavaliere, è sempre stata quella di truffare il dolore, l’umiliazione, persino l’età: “Sono invincibile”; “Mi odori Vespa, lo sente? Questo è odore di santità”; “Un erede? Ne ho almeno due o tre in testa”; “State tranquilli, ho un dinosauro nel cilindro”. Frasi palindrome, ribalderie, allusioni a un suo sempre impossibile ritiro, serissime spiritosate, perché il dinosauro preferito di Berlusconi è sempre stato Berlusconi, e solo Berlusconi, l’uomo che ha costruito tutto se stesso e la propria epica del comando intorno al carisma monocratico, ludico e cinematografico dei grandi palchi illuminati dove un solo capo sulla tolda intona assieme al popolo i gingle elettorali di “Forza Italia” e “Meno male che Silvio c’è”. Sedici anni fa, nel frastuono del Forum di Assago, primo strano congresso di Forza Italia, qualcuno gli chiese: “Chi è il numero due di Forza Italia?”.
Silvio Berlusconi partecipa a un comizio con Alfio Marchini a Roma (foto LaPresse)
E lui: “E’ Gianni Letta!”. “Ah, bene. Ma dov’è adesso Letta?”. “Non c’è”. “Anzi, non è nemmeno iscritto”. Come disse una volta Adriano Galliani: “Si sa bene chi sono i tre eredi di Silvio Berlusconi”. E chi sono? “Il primo è Silvio, il secondo è Berlusconi, il terzo è Silvio Berlusconi”. Così adesso, ora che l’hanno ricoverato al San Raffaele, in questa vicenda in cui forse c’è anche l’esaurimento momentaneo di un uomo che si è svuotato nel trasfondere sangue all’organismo anemico del centrodestra, adesso che giungono i bollettini medici, i sospiri di sollievo per lo scampato pericolo, gli auguri e le urgenti prescrizioni d’una operazione chirurgica a cuore aperto, adesso lo si può immaginare non meno scavezzacollo e spensierato di tutte le altre volte in cui si è trovato in difficoltà, spensierato nel senso d’un uomo troppo sicuro di sé per porsi il problema del futuro, e troppo superbamente impolitico anche solo per immaginare di rimettere ordine e offrire un orizzonte d’immortalità al berlusconismo, e insomma di fare nella politica quello che in realtà da quasi un anno ha cominciato a fare nelle sue aziende. Esattamente un anno fa veniva infatti ceduto il 25 per cento delle antenne Ei Towers, poi ci fu la liquidazione del leasing della sede del Giornale a Milano, la cessione del 50 per cento delle assicurazioni Mediolanum, poi a novembre del 2015 la storica acquisizione della Rizzoli Libri da parte di Mondadori, poi l’8 aprile 2016 l’ingresso di Vincent Bolloré in Mediaset, e infine anche il Milan, che prima o poi sarà venduto ai cinesi. Ma Forza Italia non la si può vendere ai cinesi. E il centrodestra non è la Mondadori che conta sulla determinazione di Marina, e non è nemmeno Mediaset che ha Pier Silvio. In politica c’è un non erede che si chiama Matteo Salvini, c’è uno strano amatissimo avversario che si chiama Matteo Renzi, ci sono tanti voti sorprendentemente ricomparsi in queste elezioni amministrative e c’è poi un partito sospeso, incerto, in bilico, che ha sempre vissuto all’ombra del potere finanziario e carismatico del suo padrone: che ne sarà di Forza Italia? “Fare il leader di un partito è cosa che gli sconsiglio da tempo”, ha detto ieri, con un saggio sorriso, il suo medico personale, Alberto Zangrillo.
“Ma tra un mese, dopo l’operazione al cuore, potrà fare quello che vuole”, potrà decidere. E che vorrà farne il Cavaliere del berlusconismo? Quale destra sceglierà, se mai sceglierà? Nel Medioevo, come raccontano i libri di Marc Bloch sui re taumaturghi, con l’impedimento del sovrano si rischiava la dissoluzione del regno: la sua salute era il collante tribale. E nessuno più di Berlusconi, nella politica europea, ha assunto tratti pre-politici, da re taumaturgo, appunto. Così da una parte c’è l’ordine nel disordine, dunque il riassetto delle aziende, della roba e del portafoglio che si accompagna al lascito politico. Dall’altra, forse, la dissipazione di un ventennio e di una storia che è stata di governo e non di urla, di moderazione, a volte giocosamente immoderata, e non di cupo populismo trinariciuto. Un capo come lui, attorno al quale tutto si è sempre condensato e scomposto, per suo calcolo e capriccio, imperio e arbitrio, può certo spogliarsi ma mai dimettersi, può cioè mettere a posto l’eredità, indicare un orizzonte, ma senza dismettere il carisma. Non più leader, ma padre e bandiera. E d’altra parte non si lascia soltanto quando ci si sente “al di sotto”, ma anche quando si è “al di sopra”.