De Magistris riparla di “movimento nazionale” (ma il M5s non lo vuole)
Roma. Il vizio è duro a morire, si capisce, e infatti Luigi De Magistris, sindaco uscente e ricandidato a Napoli, alla vigilia del ballottaggio contro Gianni Lettieri, visti i numeri da favorito con cui è uscito dal primo turno, si è lanciato nella dichiarazione d’intenti su scala nazionale, cosa che aveva già fatto nel 2011, all’indomani della vittoria da sindaco “arancione”. “Dopo le elezioni nascerà un movimento politico non leaderistico, un movimento popolare che va oltre i confini di Napoli e che avrà una soggettività politica anomala, costruito con una democrazia partecipativa. Con gli elettori M5s esiste una sintonia”, ha detto ieri De Magistris a “Omnibus”, su La7, nella giornata conclusiva della campagna elettorale al termine della quale l’ex pm spera di “scassare” come cinque anni fa. E dunque rieccolo, il De Magistris che prende il voto locale come trampolino di preparazione alla ri-discesa in campo. Non gli sono bastati, evidentemente, i flop nazionali degli amici “arancioni” di Antonino Ingroia, che nel 2013 venne a dir poco intralciato, sulla via di Palazzo Chigi, dai Cinque stelle con cui ora De Magistris vorrebbe allearsi, rimediando per il momento un “no” molto sdegnoso da Roberto Fico: “Il movimento nazionale che De Magistris ha intenzione di creare… non mi interessa in questo momento, anche perché il M5s sta lavorando e crescendo…”, ha detto Fico a “L’aria che tira”, su La7, sottolineando anche, non fosse chiaro, che “il movimento di De Magistris si fonda su una persona, non c’è una una capacità di rete e di partecipazione” e che l’ex pm “ha cercato di attingere molto dai Cinque stelle… e ha cercato alleanze pur sapendo che noi non facciamo alleanze”. Ma niente: Giggino o’ scassatutto, immemore del passato da temporeggiatore (lancia o non lancia un movimento nazionale?, era stato il dubbio degli osservatori tra il 2011 e il 2012, ché De Magistris, alla stregua di Luigi Cordero di Montezemolo e poi di Maurizio Landini, teneva per così dire alta la suspence). Poi il disastro, nonostante le speranze e nonostante Ingroia fosse tornato al volo dalla rapidissima trasferta in Guatemala: le urne matrigne colpivano senza appello quell’ecumenico, indignato e ipergiustizialista progetto.
L’esperienza insegna che un conto è “scassare tutto” a Napoli e un conto è “scassare tutto” nelle lande lontane dal Vesuvio, ma non c’è pausa nell’ambizione dell’ex pm, già proiettato oltre come quando, nell’ottobre 2011 – stessa idea, stesse parole – diceva che all’Italia sarebbe servito “un grande movimento”. D’altronde era l’uomo che si autodefiniva “enorme plusvalore” nelle interviste a Claudio Sabelli Fioretti, sperando forse che l’allure di una “Cosa” arancione tenesse lontane le disillusioni cittadine dopo i primi mesi di mandato. Ma il primo posto al primo turno ha fatto rinascere in lui la pazza idea, con ami lanciati qui e là (“penso che la Roma di Virginia Raggi possa essere un interlocutore interessante”, ha detto, autocandidandosi tra le righe ad “antiRenzi” nazionale: “Napoli è l’unica città con l’acqua pubblica, abbiamo detto ‘No’ agli inceneritori, governiamo con le ‘mani pulite’, siamo critici con il governo…”). Ed è solo l’inizio del vagheggiamento di un Nuovo Mondo post-arancione.