Forza Parisi
Lepenismo no grazie. A Milano Parisi ha perso ma ha indicato l’unica via per un centrodestra possibile: riformista, unito e moderato. Appunti sulle critiche sballate di Sallusti, Toti e Salvini.
Poche cose dovrebbero essere chiare come questa: che l’unico posto in cui il centrodestra ha avuto, pur perdendo, un buon risultato – tale almeno da certificarlo in vita e (quasi) in salute – è Milano. Perché si è presentato unito, riformista, moderato e con un candidato di ottimo profilo: non un populista o un apparatcik di partito qualsiasi. Ma, viste le dichiarazioni del post voto, la cosa ancora più chiara è questa: nel centrodestra hanno già ricominciato a litigare per la mobilia e quel che resta di una leadership senza possibili eredi, e soprattutto non sanno dove andare.
Alessandro Sallusti, sul Giornale, è riuscito a scrivere che “ha perso Parisi, per un errore di valutazione. Dopo il miracolo del primo turno, ha pensato di poter fare da solo e ha preso platealmente le distanze dai partiti che lo sostenevano. Solo che il centrodestra non è l’antipolitica, è ‘la’ politica”. Accusare Parisi di antipolitica? Dal Giornale? Lo stesso Giornale da cui Augusto Minzolini critica Parisi per non aver lanciato “nessun messaggio al 10 per cento del M5s”? E per non aver “provato a mettere in imbarazzo la sinistra estrema, magari schierandosi per il no al referendum”. No al referendum?
Giovanni Toti, a Libero: “Non sempre l’uomo della Provvidenza rappresenta realmente un valore aggiunto. A Milano avrebbero fatto un’ottima figura anche esponenti della nostra classe dirigente”. Detto dall’uomo che ha vinto in Liguria per la Provvidenza del suicidio della sinistra, è un bel dire.
Mariastella Gelmini, che pure aveva detto che “il modello che abbiamo proposto a Milano è quello vincente. No a litigi e conflittualità”, s’è lasciata sfuggire un “c’è stato un po’ di scollamento tra il candidato Parisi e i partiti di centrodestra”. Scollamento?
La banale verità è che i leader del centrodestra pensano più a non trovarsi Stefano Parisi come competitor sul piano nazionale (lui del resto non ci pensa), che a costruire sulla via anti populista e riformista indicata da Milano. Per non dire di Matteo Salvini, lo sciagurato che perse Varese: “Milano insegna che il dentro tutti non paga. La formula moderata era sbagliata e le minestre riscaldate la gente non le mangia”. Avevamo scritto, sul Foglio, al momento della sua candidatura, che il vero nemico da cui Parisi doveva guardarsi erano gli alleati. Lui ha quasi fatto il miracolo, ha tirato fuori il centrodestra dal tombino e ha indicato la strada a chi intenda governare, prima o poi. Ma tornare a governare, con questo centrodestra, sarà dura. Forza Parisi.