Cantone spiega perché nella Pa il whistleblowing è necessario. Davigo prenda appunti
Il numero uno dell'Autorità nazionale anticorruzione risponde al capo dell'Associazione nazionale magistrati. Segnalare abusi è un “dovero civico” e bisogna tutelare chi decide di farlo.
Piercamillo Davigo liquida il whistleblowing come “fumo negli occhi” e “cosa stucchevole”? In via Minghetti, Raffaele Cantone apparecchia tanto di conferenza stampa, con fiumi di slide ed esperti qualificati, per spiegare urbi et orbi che è vero il contrario: il whistleblowing, dichiara il numero uno dell'Autorità nazionale anticorruzione, “svolge un ruolo essenziale nella prevenzione della corruzione”. I dipendenti pubblici hanno già l'obbligo di denuncia, ammonisce il capo dell'Associazione nazionale magistrati. Tuttavia, almeno a guardare i dati, le segnalazioni di presunti illeciti interni alla Pubblica amministrazione sono aumentate in seguito all'introduzione del whistleblower (letteralmente 'soffiatore di fischietto'), con la legge Severino del 2012. Il segnalatore italiano, precisa Cantone, “è un soggetto che si firma”, niente anonimato, ed è tenuto ad agire “in buona fede”. Nell'interesse pubblico, insomma.
Da una parte c'è l'esigenza di incentivare la segnalazione dei reati preservando i dipendenti pubblici da possibili atti ritorsivi (licenziamenti, demansionamenti, riduzione di stipendi, sottoposizione a esami medici...). Dall'altra si avverte la necessità di tutelare la reputazione dell'ente coinvolto, soprattutto se la denuncia si rivela infondata. Del resto, non sempre le segnalazioni vanno a buon fine (nel 2014, in 'fase sperimentale', l'81 percento di esse ha portato a un'archiviazione). “È importante tutelare il segnalatore e agevolarlo nel processo di denuncia garantendo meccanismi efficaci per l'accertamento di eventuali reati. La mobbizzazione del dipendente pubblico è un rischio concreto”, afferma Cantone. E se per Davigo la prevenzione è inutile, Cantone replica: “Io non mi muovo nella prospettiva di chi svolge indagini penali. L'autorità non può fare intercettazioni, per intenderci. I colleghi possono stare tranquilli: noi non siamo una superprocura”. L'Anac riceve le segnalazioni, le esamina e, se del caso, le inoltra all'autorità giudiziaria. Nel “processo di denuncia” l'Rpc - il responsabile prevenzione corruzione -, nominato al'interno della Pa, è la figura di raccordo, la sentinella vigile, tra il singolo ente e l'Anac; tocca a lui fornire il “supporto psicologico” al denunciante e assisterlo fino all'esito finale.
Si cita l'indagine curata dall'organizzazione no-profit Public Concern at Work sui 1.000 casi di whistleblowing registrati nel Regno Unito dal 2003: l'82 per cento delle segnalazioni proviene dall'interno dell'ente, il 60 per cento dei segnalatori non ha ricevuto risposta da parte della dirigenza, il 16 per cento ha avuto problemi di salute durante il percorso di segnalazione e il 54 per cento ha affermato che il comportamento illecito è cessato. Dai Paesi bassi arriva l'esperienza della Casa del whistleblower: istituita nel 2016, introduce una protezione legale per il dipendente pubblico sia nella fase preliminare consultiva, sia in quella investigativa. Intanto la legge italiana sul whistleblowing, che per Cantone “va nella giusta direzione”, è stata approvata alla Camera ma sonnecchia al Senato. Non è mistero che l'iter normativo sia seguito con interesse dall'Ambasciata americana in Italia. Oltreoceano l'ambasciatore e avvocato John R. Phillips si è intestato una lunga battaglia per le modifiche al famigerato Lincoln Act che hanno introdotto il whistleblowing esteso a pubblico e privato, e con possibilità effettiva per il segnalatore di citare in giudizio l'impresa e ottenere un compenso economico. “Io sono contrario a ogni forma di remunerazione - scandisce Cantone - Si può prevedere al massimo un ristoro a fronte di spese documentate. Ma non ci può essere un prezzo per il dovere civico”.