Il primo assedio a Renzi
Roma. Il cattivo umore in generale, i nervi, un certo senso di diffusa insofferenza regnano sovrani. Nel Pd si fanno discorsi dall’aria drammatica e vagabonda, s’intravedono complotti, manovre, si sospettano tradimenti, “adesso esplodono tutte le contraddizioni che ci siamo tenuti dentro troppo a lungo”, dice allora Stefano Esposito, senatore della corrente dei giovani turchi, “io temo il disfacimento del Pd”. E allora tutti aspettano Matteo Renzi, il presidente del Consiglio e segretario del partito, oggi, alla direzione nazionale, dove ciascuno si metterà in fila, srotolando il suo Cahier de doléance, ciascuna delle correnti (“troppe correnti”, dice Enzo Lattuca, bersaniano, il più giovane dei deputati, “qua nessuno si è occupato del partito e il risultato è l’anarchia correntizia”), dunque tutti di fronte al segretario in difficoltà, sconfitto alle amministrative, tutti a chiedere qualcosa, e a minacciare, un po’, in controluce. “In direzione misureremo la caratura di Renzi”, dice Miguel Gotor, che della sinistra interna incarna le pulsioni più battagliere, spesso aggressive, ma anche più spiritose e in fondo distaccate, “fare il leader con il vento in poppa è facile”, dice, “esserlo nella difficoltà è più difficile. Bisogna vedere, e sono curioso, come si comporterà Renzi avendo sulle spalle la scimmietta invisibile di questa sconfitta elettorale”.
E così mentre Gianni Cuperlo vorrà insistere, chiedendo che venga modificata la legge elettorale, mentre Roberto Speranza forse spingerà ancora perché Renzi lasci la segreteria del partito (anche a rischio che il nuovo segretario diventi Luca Lotti o Maria Elena Boschi?), mentre tutti insomma si preparano a chiedere o a pretendere qualcosa dal presidente del Consiglio e segretario ammaccato, nell’ombra si consuma però un dibattito parallelo e segreto, inquietante, tutto un pissi pissi, un torrido mormorare e rullare di tamburelli: bisogna prepararsi, preparare un’alternativa al governo di Renzi, un governo che in caso di sconfitta al referendum di ottobre possa approvare quella legge elettorale che Renzi non sembra intenzionato a cambiare (malgrado ieri mattina il presidente del Consiglio avesse chiesto a Emanuele Fiano di buttarla lì, quasi per caso, per vedere l’effetto che fa: “Sull’Italicum penso che verrà fatta una riflessione…”). E allora, in una strana carambola segreta, già si fanno i nomi dei possibili traditori, s’indicano i movimenti nell’ombra, persino dentro il governo, in quei gruppi parlamentari che eletti nel 2013 rispondono ancora alle vecchie logiche pre-rottamazione, pre-renziane.
Dunque al Nazareno, tra i deputati più amici del segretario, si indicano delle facce, dei profili disegnati nell’aria, si uniscono i puntini tra fatti forse scollegati tra loro, ci si tormenta con i sospetti: Dario Franceschini… che sta facendo Franceschini? E perché tutti raccontano dei suoi incontri, delle sue telefonate, delle sue allusioni agli errori di Renzi? Così circolano leggende, racconti veri, falsi, verosimili: in troppi adesso pensano che Franceschini, il più ginnasticato dei capi tribù, l’uomo la cui storia è una carriera di corridoio tra gorghi di correnti e sottocorrenti, tra lobby e fazioni, lui al quale in tanti devono la loro elezione in Parlamento, voglia sostituirsi a Renzi per approvare la nuova legge elettorale. Ed eccolo allora, Franceschini, avvolto in questo groviglio di timori e sospetti, eccolo che nei racconti si eleva a capo di un governo del presidente, un governo d’emergenza e di salute pubblica (sia il governo Letta sia il governo Renzi nacquero per fare la legge elettorale), un esecutivo benedetto, ovviamente, dal capo dello stato, da quel Sergio Mattarella che con Franceschini ha una vecchia e solida consuetudine.
“Bisogna vedere (e sono curioso) come si comporterà Renzi in direzione”, dice dunque Gotor. E sarà un Renzi spavaldo, quello di oggi, o un Renzi capace di umiltà e di aperture, come forse si augura il suo più cauto consigliere, cioè Graziano Delrio? “La scelta”, dice spiritosamente Gotor, “è tra verismo e dannunzianesimo”, insomma tra realismo e ribalderia, sostiene lui. Ma ieri mattina il presidente del Consiglio e segretario non sapeva ancora cosa fare, oscillava fra il terribile e il dolce, fra un’aria di rimprovero, censure, rifiuti e un’altra di simpatia, consensi, piaceri. Quello che Renzi si aspetta in direzione, oggi, forse non è proprio un assalto, ma quasi. E che farà di tutta questa matassa composta di complotti, trame e paure? Siamo al 25 luglio del governo? “C’è molto movimento, ma c’è anche di mezzo l’estate”, dicevano ieri sera a Palazzo Chigi, lasciando intendere che i ragazzi toscani restano sicuri e chiusi in un guscio forse sicuro, prezioso, inalterabile, o forse invece di una fragilità estrema.