Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Che cos'è il partito del Cambia Italicum che ora minaccia di premere il tasto Renxit

Claudio Cerasa
Gli stessi membri del Pd che avevano sostenuto il premier nella sua scalata alla segreteria del partito ora lavorano per un dopo Renzi. Per disinnescare l'opposizione interna la strada giusta potrebbe essere quella che porta ad Arcore.

Nelle prossime settimane, al netto delle conseguenze politiche del caso Brexit, c’è un nemico invisibile contro cui il segretario del Partito democratico dovrà lottare. Un nemico che dall’inizio di questa legislatura decide i destini dei governi, indirizza i gruppi parlamentari e determina il passaggio da un presidente del Consiglio a un altro. Il nemico invisibile è un fantasma che a prima vista può apparire innocuo ma che giorno dopo giorno sta diventando qualcosa di più di un semplice tema tecnico, capace di catalizzare solo l’attenzione dei costituzionalisti italiani. Tenetevi forte: la legge elettorale. Prima delle elezioni comunali il tema del cambio della legge elettorale viveva sottotraccia nel dibattito quotidiano e veniva per lo più utilizzato dalla minoranza del Pd per chiedere a Renzi qualcosa in cambio per appoggiare il referendum sulla riforma costituzionale: tu togli il premio alla lista, caro Renzi, inserisci il premio alla coalizione e così facendo, se dai retta a noi, non solo faremo campagna con te per il referendum costituzionale ma ti daremo la possibilità di utilizzare un domani una legge elettorale che, con il principio delle coalizioni, penalizzerà il tuo grande avversario che le coalizioni non le fa (Beppe Grillo). Dal giorno successivo alle elezioni comunali la richiesta di modificare la legge elettorale è diventata qualcosa di più, è diventata la parola chiave, sussurrata ormai senza più grande timore, per creare consenso attorno a un tema che fino a qualche mese fa sarebbe stato un tabù: il Renxit.

 

Senza volerci girare troppo attorno la questione è piuttosto lineare e suona più o meno così: il premier è in una fase difficile, il Pd non se la passa bene, le comunali hanno segnato un avanzamento delle forze anti sistema, i partiti anti establishment mordono le caviglie, la vittoria al referendum non è più scontata come si credeva un tempo e per questo è necessario costruire in Parlamento un fronte comune per archiviare in modo indolore il renzismo in caso di vittoria del no a ottobre. Per farlo, naturalmente, serve un tema forte per coagulare consenso. E cosa c’è di meglio che sparigliare tutto mettendo in campo la modifica di una legge elettorale che nella maggioranza di governo tutti, tranne Renzi, dicono, esplicitamente o implicitamente, di voler cambiare? Il tema c’è, è importante, è una delle chiavi di lettura giuste per capire chi guida in Italia il partito del Renxit, e in fondo non si può seguire il filo di questa legislatura senza studiare la traiettoria della legge elettorale.

 

Nella primavera del 2013 Giorgio Napolitano decise di formare un governo di salute pubblica, e di non riportare il paese al voto, proprio per non andare alle urne con la vecchia legge elettorale. Un anno dopo, nel febbraio 2014, Matteo Renzi prese il posto di Enrico Letta perché aveva a disposizione, sulla legge elettorale, una maggioranza più ampia rispetto a quella che aveva l’ex vicesegretario del Pd. Due anni dopo la legge elettorale, l’Italicum, è ormai approvata (entrerà in vigore il primo luglio 2016) ma i promotori di quella legge oggi sono divisi (Berlusconi e Renzi) e sono lontani l’uno dall’altro e per questo l’Italicum non ha più grandi sponsor. Dal punto di vista tecnico, il premio alla lista previsto oggi piace a Renzi (che lo dice ad alta voce) e piace anche a Berlusconi (che lo dice sotto voce) perché costringe i piccoli partiti a confluire dentro un listone più grande. Non vieta le coalizioni (l’Italicum prevede che il simbolo della lista abbia un margine di tre cm per poter inserire accanto al nome della lista anche i simboli degli altri partiti) ma le rende più difficili – e rende soprattutto difficile la vita alle piccole correnti dei partiti che per avere un posto nelle liste elettorali non possono più minacciare di uscire dal partito e correre in solitaria (per entrare in Parlamento bisogna ottenere almeno il tre per cento se ci si presenta da soli). Con un Berlusconi fuori gioco e un Renzi indebolito l’occasione di fare pressioni sul segretario del Pd per cambiare la legge elettorale è ghiotta ma la novità è che oggi il tema del Cambia Italicum non è più soltanto un messaggio legato al referendum costituzionale. E’ un messaggio legato al futuro di Renzi, sia in caso di vittoria del sì a ottobre sia in caso di vittoria del no. Se il presidente del Consiglio cambierà la legge elettorale, come chiede la minoranza del Pd, come chiede l’alleato del Pd (Ncd), come chiede il partito di Verdini (Ala), come chiedono molti dei piccoli partiti che sostengono Renzi, al referendum si andrà tutti compatti, il Pd tornerà a essere unito e non ci saranno più scherzi al Senato sul numero legale e sulla maggioranza di governo. Viceversa, se Renzi non dovesse accogliere le richieste del partito del Cambia Italicum avrebbe un doppio problema: un disimpegno di un pezzo importante del Pd e della maggioranza in vista del referendum e il rischio concreto che dopo il referendum costituzionale ci siano le condizioni per ripetere con Renzi la stessa operazione fatta proprio da Renzi con Letta: cambiare regime, cambiare governo.

 

Renzi non modificherà probabilmente la legge elettorale (sarebbe un segnale di debolezza) ma per la prima volta sa che anche nel suo partito c’è chi lavora su un dopo Renzi. I nomi sono gli stessi che hanno appoggiato il segretario del Pd nell’ascesa contro l’ex vicesegretario del Pd. Tutti. Anche i più insospettabili. L’assedio al premier dunque non è più fantapolitica: improvvisamente è diventato realtà. E il partito del Cambia Italicum (che chiede di cambiare l’Italicum anche per contenere il pericolo grillino) peserà eccome nei tre mesi che separano il governo dall’appuntamento di ottobre. Il partito che vuole il Renxit c’è. Sta a Renzi ora trovare la chiave per disinnescarlo. E se serve il numero di Arcore, caro presidente, glielo diamo noi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.