Caro Renzi, fuggi il vortice della noia
Cose evidenti. Renzi è nell’angolo. Le elezioni municipali a Roma e Torino sono state un colpo. Il ricordo del 40 per cento alle europee sembra lontano, il referendum strategico è vicino. No patriottismo della Ditta o della sinistra. No coagulo di forze sufficienti intorno al suo progetto o comportamento da leader di governo. Incombe lo spettrale ricongiungimento nullista delle opposizioni, compresa quella interna: grillini, estrema sinistra, centrodestra, titolari di un Pd che resiste alla mutazione genetica della sinistra riformista e di governo, gufi che sibilano legittima avversione dalle tribune dei poteri diffusi di stampa e televisione. Sondaggi negativi, l’ombra della diffidenza d’opinione si allunga sul Royal baby e sui suoi, assediati per mille rivoli dall’incalzante (un già visto ma efficace) iniziativa della magistratura militante, con il conforto di fatti e fatterelli di ordinaria corruzione che sono manipolati per bollare l’esecutivo come espressione di una continuità di nomenclatura bisognosa di un’alternativa radicale pre o antipolitica. Contano certi errori del capo, certe debolezze della corte, la ripresa economica debole, le cose non fatte o non inventate, ma contano anche le cose fatte, i successi, le realizzazioni, i capitoli chiusi e completati, che impauriscono e come sempre incidono sulla fretta di sbarazzarsi di chi fa, e di fotterlo con nuove promesse e nuove mirabilie o fuochi d’artificio. Cose evidenti e niente di strano o di così anomalo. Il “sistema”, quello vero, l’intelaiatura relazionale che in Italia imprigiona prima e tende sempre a rigettare poi un potere che si presenti come progetto, peggio se inedito e sorprendente, ha ancora fiato, forza propulsiva, sa servirsi dei mezzi più indiretti ancorché legittimi, e contro una leadership di sinistra che scuote come può l’albero invecchiato delle vecchie idee, cerca con qualche risultato di annodare e tirare il cappio.
Cose altrettanto evidenti. Il discorso pubblico di Renzi è decisamente appannato, molto meno efficace, a due anni dalla sua irresistibile ascesa alla guida del partito e del governo. Lo dimostra la recente direzione-streaming del Pd. Anche per chi ritenga il boy-scout un capo ragionevolmente impegnato in una battaglia non di retroguardia, a confronto con la vanità disperata di tipacci alla D’Alema, con le ricercatezze di tipini alla Cuperlo, e con le mucche vernacolari di tiponi alla Bersani, anche per ceffi come me, dunque, i video, le escogitazioni verbose, certe pose, l’eccesso di appelli, ma soprattutto la reiterazione di tutto questo teatro, ha ormai un solo effetto: la noia. L’attor giovane che ha scaldato le assemblee estenuate dalle lezioncine e dal tiepidume dei suoi predecessori, o dal velleitarismo cocciuto dei vecchi fannulloni sempre al potere, anche lui ormai tende a steccare, a usare toni enfatici senza utilità, senza esprit de finesse, senza anima. Il professor Cosmo del San Leone Magno, la scuola cattolica alla quale è intitolato il solido e molto interessante romanzo di Edoardo Albinati, storie e pensieri da un paese che non c’è più ma ritrae spesso quello che e chi gli è sopravvissuto, aveva lasciato morendo dei pensieri ordinati in quaderni, che il suo allievo Albinati romanzescamente e forse documentalmente riporta. A pagina 1.168 dei quaderni del professor Cosmo si legge, a proposito delle retoriche pubbliche in Italia: “… persino nel dire la verità, non si riesce a dirla nuda, così com’è, non si riesce a non condirla di retorica, e dunque si finisce per essere falsi persino mentre si dice il vero: si falsifica la verità per stare più sicuri che faccia effetto, forse perché non si ha troppa fiducia in essa, si ritiene che sia una misera cosa, che non basti, se non viene pompata, potenziata, martellata, sparata in alto, fatta vibrare come un gong e garrire come una bandiera… Le parole così ricche e spettacolari della nostra lingua sono una tentazione irresistibile; e la sintassi prensile sembra fatta apposta per agganciarne e ammucchiarne il più possibile, come se si volesse fare una barricata intorno alla propria verità, per proteggerla, finendo in realtà per occultarla”.
Ultima cosa evidente. Il discorso in politica quasi sempre riflette un’impasse che al discorso è estranea. Non si capisce bene che cosa, ma certo qualcosa di forte, traumatico, dimostrativo e utile al paese, non nell’ordine difensivo del correntismo di partito, delle mene di legislatura, dei ricatti melodrammatici, tutte cose che ripropongono il passato e mettono nell’angolo il presente, la contemporaneità promettente che Renzi aveva impersonato, qualcosa il capo del Pd e del governo ha da inventarselo, secco, asciutto, e poi da dirlo senza eccessivo accumulo o enfiagione di parole. Economia, crisi europea, società, cultura, giustizia, scontro di civiltà: non è che manchino i temi anche incandescenti per nuove decisioni e nuove parole.
Equilibri istituzionali