Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Meglio osare l'all-in

Subito elezioni contro il partito della graticola? Nel Pd c'è chi dice “sì”

David Allegranti
Renzi non si lasci rosolare dai Grillo e dai D’Alema, dicono Ermini, Orfini, Romano, Giacomelli, Giachetti e altri – di David Allegranti

Roma. La mozione contro l’effetto arrosticino, lanciata dal Foglio ieri, non è un tabù. Neanche per la segreteria del Pd. Andare al voto anticipato, prima del referendum? Perché no, dice David Ermini, responsabile Giustizia del partito renziano. “Non escludiamo nulla, ogni strada è percorribile”, dice Ermini al Foglio. Il deputato Andrea Romano è ancora più netto: “Oggi l’alternativa a Renzi e al Pd è il ritorno alla palude, nella versione D’Alema, o il precipizio fuori dall’Europa, nella versione Grillo-Salvini. Meglio chiarirlo subito davanti agli elettori, che decidano loro. Le riforme principali di questa legislatura sono già in cascina, ora la parola agli italiani per ripartire con una nuova stagione di innovazione e per la costruzione del Pd del futuro”. C’è però il problema del M5s, che viene dato in vantaggio in caso di ballottaggio: come può il Pd battere il partito di Beppe Grillo? “Non con l’arrocco coalizionale, ma con una competizione autentica per l’innovazione e politiche sociali autentiche basate sulla crescita”, suggerisce Romano. L’ipotesi scaccia arrosticino è contemplata anche dai giovani turchi, tanto più che il grosso del lavoro, dicono, è fatto.

 

Matteo Orfini, presidente del Pd e commissario del partito a Roma, l’aveva già fatto capire nel suo intervento all’ultima direzione del Pd. “Io credo – ha detto lunedì scorso – che dobbiamo andare avanti fino al 2018 con questa legislatura. Però per farlo, visto che le ragioni su cui era nata questa legislatura si sono di fatto esaurite con l’approvazione in ultima lettura della riforma costituzionale, abbiamo bisogno che il Pd sia in grado di essere il baricentro che garantisce il proseguimento della legislatura. E questo comporta l’esigenza di una responsabilità condivisa nell’intento e nella direzione di marcia”. Tradotto: “Si va avanti – dice Orfini al Foglio – se c’è la volontà di tutti. Altrimenti gli impegni assunti con Napolitano che giustificavano la legislatura li abbiamo già portati a casa”. Cioè la legge elettorale e la riforma costituzionale. Al voto dunque dopo il referendum? “Anche prima se necessario”, dice Orfini. In modo, appunto, da evitare il rosolamento prolungato di Renzi e del governo.

 

Tra i sostenitori del voto subito c’è – storicamente vien da dire, visto che lo ripete da tempo, Roberto Giachetti. Il vicepresidente della Camera non ha cambiato idea da quando, l’anno scorso, consigliava a Renzi di fare “come Tsipras” e andare al voto. “Mica si può andare avanti così. L’obiettivo della minoranza Pd è sfasciare tutto e ammazzare politicamente Renzi”, diceva l’anno scorso Giachetti. Un ragionamento già espresso nel 2014: “Caro Matteo, non amo il ruolo del grillo parlante né quello del facile profeta ma l’evoluzione delle resistenze al cambiamento conferma la mia previsione che questo Parlamento non è in condizione di fare le riforme. E allora torno a dirti: andiamo a votare”. Il pensiero dell’ex candidato sindaco del Pd a Roma, che aveva previsto l’indebolimento di Renzi, è rimasto lo stesso.

 

Non sarà semplice però, per i sostenitori delle urne subito, convincere un pezzo del partito, vedi i franceschiniani. “Non è più la fase delle tattiche subordinate o delle scorciatoie”, dice al Foglio Antonello Giacomelli, sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico del governo Renzi. “Questa legislatura si decide sulle riforme istituzionali e questo percorso deve essere fatto fino in fondo. Io sono ottimista sull’esito del referendum. Non è il momento delle invenzioni. Ricordo bene che questa attitudine era già stata denunciata da Napolitano”. Poi, certo, è evidente – aggiunge Giacomelli – che in caso di sconfitta al referendum, ci sarebbe spazio solo per le elezioni. “Questo Parlamento ha votato sei volte la riforma. La vittoria del no significherebbe una mancanza di sintonia fra questo Parlamento e l’opinione degli elettori. Questa non è una legislatura normale, ma è nata fin dall’inizio come legislatura costituente, quindi la prosecuzione o la fine di essa sta nel compiersi delle riforme”. Non, dunque, secondo Giacomelli, prima del referendum.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.