Renzi, è tempo di metterci la faccia
Si avvicina la sfida del referendum costituzionale e il premier è chiamato ad affrontare i detrattori con metodi e parole nuove. A Roma, voto sospeso per la nuova giunta della Raggi. Quasi tutti bocciati (giudici in primis) sul caso Capua, una vicenda da vergogna per il mondo civile. Il Pagellone alla settimana politica di Lanfranco Pace.
Quando si è circondati dal fuoco c’è poco da studiare, poco da inventarsi: bisogna sbrigarsi a ritrovare l’uscita nota sennò si fa la fine dello scorpione che gira in tondo, cerca un varco che non trova e alla fine stremato inarca la coda e si punge sul dorso uccidendosi.
La via di uscita nota per Matteo Renzi è vincere il referendum costituzionale del 2 ottobre. Punto. Senza dilazioni, senza sotterfugi astrusi come lo spacchettamento dei quesiti, senza tatticismi tardo democristiani come passare prima per le elezioni politiche: sono mosse che dipendono anche da altri poteri e su cui non ha il pieno controllo. Se Renzi aggira in qualsiasi modo l’ostacolo che lui stesso ha messo davanti a sé sarà solo più debole: non ci saranno altre finestre di opportunità, non ci saranno condizioni più favorevoli per il voto referendario o politico, non ci sarà nessuna ripresa economica, nemmeno una del 4 per cento del pil basterebbe a placare la somma dei rancori. Quindi è il 2 ottobre, il pertugio salvifico: o si passa o si salta.
I sondaggisti danno già per acquisita la vittoria del no. I commentatori si sono lestamente acquartierati altrove e alcuni trovano molto interessante l’analfabetismo politico e il pressapochismo istituzionale dei 5 Stelle. Nessuno però, né i primi né i secondi, è in grado di prevedere l’impatto vero e proprio della campagna. Poco prima delle amministrative perse, Renzi disse che a ottobre sarebbe stata tutt’altra musica, che ci avrebbe messo la faccia lui e avrebbe voluto vedere quello che sarebbe accaduto. E’ tempo di vedere se è bluff o no, rimisurare la propria forza personale, senza aspettarsi troppo dai comitati del sì e da alleati centristi vieppiù frastornati.
Faccia un tour da metà agosto, quaranta giorni ventre a terra nelle piazze delle principali città, parli alla gente, relegando in secondo piano Twitter e i salotti televisivi, spieghi dal vivo e a muso duro la posta in gioco con il voto referendario. Affronti fischi e contestazioni da parte degli elettori che l’hanno abbandonato per i 5 Stelle, che dicono che non c’è più il Pd di una volta e fossi in lui perderei pure un po’ di tempo a ricordare cosa mai era questo cazzo di Pd di una volta se non una macchina in ritardo venti anni sulla storia e destinata a rincorrerla da eterno perdente.
Farebbe bene anche a calibrare gli argomenti: a non cedere alla demagogia della riduzione della casta e del costo della politica, le solite vesciche grilline che fanno venire il latte ai coglioni. Parli di federalismo virtuoso da ricostruire e di cui persino lo sgangherato Senato previsto dalla riforma può essere un primo passo, migliorabile, a cui far seguire un secondo. Parli della governabilità e della necessità di avere una linea di comando dalla fisionomia precisa che possa prendere decisioni in un tempo comparabile a quello degli altri paesi occidentali, senza che rispuntino i fantasmi del regime nascente. Abbia il coraggio di dire ciò che è giusto e non ciò che la gente vorrebbe sentire: va bene dire che chi ruba deve andare in galera, è anche bene dire che in politica l’onestà è il valore dei coglioni.
Difenda l’Italicum: questa storia che se ci sono tre partiti che prendono il 30, il 29 e il 28 per cento dei voti è immorale ed è antidemocratico che quello con il 30 prenda la maggioranza assoluta dei seggi; dica bene che in Inghilterra da quando è finito il bipartitismo accade proprio questo e nessuno se ne è mai lamentato.
Dica infine che peggio del capolista nominato dalla segreteria di partito c’è solo quello che fa il pieno delle preferenze, metodo sconosciuto in tutto il resto del mondo ma molto praticato nel nostro meridione. Renzi dunque vada in tour come fece Grillo nel 2013, veda gli italiani e tiri fuori la clava. Non sarà uno tsunami ma alzerà il vento necessario a riportare a casa un po’ di elettori, a conquistare gli indecisi e smentendo tutte le previsioni che danno una larga vittoria al sì.
IL PROBLEMA NON E’ CAPUA
Vergogna per l’Italia e basta. Non perché abbiamo rovinato la vita di una brillante scienziata, Ilaria Capua (voto 10) accusandola di trafficare virus a scopo di lucro, proprio lei che i risultati della ricerca sul ceppo responsabile dell’aviaria li aveva divulgati in rete perché fossero a disposizione di tutti. Non perché, come ha scritto Paolo Mieli – con Gian Antonio Stella sempre sul Corriere, il primo a indignarsi di questa bavure giudiziaria (voto 9 a entrambi) – dovremmo presentarle delle scuse e ancora nessuno l’ha fatto: sarebbe troppo facile, un modo per cavarsela a buon mercato. Non perché i magistrati titolari dell’inchiesta non l’hanno mai interrogata per anni, mai incontrata neppure di sfuggita per un tè di cortesia.
No: siamo da vergogna del mondo civile perché nessuno è ancora andato a chiedere conti e contezza a Giancarlo Capaldo, uno dei tre procuratori aggiunti di Roma, che più di dieci ani fa avviò un’indagine altisonante che avrebbe dovuto fare scalpore nel mondo intero e invece si sta risolvendo nel solito peto italiano maleodorante: reati come procurata strage punibili con l’ergastolo senza imputati, senza la contestazione di fatti precisi, senza prove, sulla base di intercettazioni ambientali tra cui quelle tra la scienziata e i suoi genitori.
Nessuno va da Capaldo. Non i giornalisti, nemmeno quelli che non mollano, specialisti nel tenere le poste alla cernia davanti la tana (voto 2). Non il pluridecorato con labello antimafia Lirio Abbate (voto 4) che grazie alle carte della procura sbatté l’inchiesta e la Capua sulla copertina dell’Espresso. Nessun deputato ha fatto interrogazioni in Parlamento, il ministro della Giustizia non ha inviato ispettori e il Consiglio superiore della magistratura non ha aperto indagini: un consigliere si è limitato a sollevare una questione di compatibilità ambientale del procuratore aggiunto. Non si sa bene chi siano secondo Capaldo i nuovi untori che favoriscono la diffusione dei virus per arricchirsi con la vendita di vaccini e antivirali. Capaldo, dice Lirio Abbate, è un magistrato solerte, il primo ad arrivare in procura e l’ultimo ad andarsene, è schivo, lontano dalla telecamere e dalla facile ricerca di notorietà. Ma allora perché in dieci anni ha prodotto una vera catastrofe giudiziaria, la definizione è di Repubblica, giornale suo amico appartenente allo stesso gruppo Espresso?
RAGGI DI STELLE
Sta bene, è il primo giorno di scuola e si perdona tutto. Sulla "bambolona imbambolata" per una volta sbaglia il caro governatore De Luca (voto 7). Si accorgerà di che razza di squali sono e di quanto cinismo lei e i suoi saranno capaci. Sta bene dunque, anche le emozioni da mamma, i bambini che gattonano sugli scranni del Consiglio municipale, il ritardo all’accensione e le botte da orbi tra i vari potentati a cinque stelle, compresa l’ingerenza della Casaleggio e associati. Della giunta fatta si sa poco, la lettura dei curriculum non illumina, ci si può nascondere tutto e il suo contrario. Di Paolo Berdini, assessore all’Urbanistica, so per conoscenza personale: mattoni zero, consumo di suolo zero, grandi opere zero e viva la decrescita purché armoniosa e felice, voto dunque sospeso in attesa dei suoi primi passi. Di Marcello Minenna, super assessore al Bilancio, alle Partecipate e al Patrimonio, so che viene dalla Consob, cosa che non depone a suo favore. La Commissione per le operazioni di borsa, così com’è, è più inutile del Cnel. Eppure il giudizio di Stefano Fassina è lusinghiero: meno male che c’è lui, ha detto. Magari è suo cugino, ma io, non so perché, per queste cose mi fido di Fassina (voto 8).
Per il resto si vedrà in corso d’opera.
Non gli si chiede nemmeno di fare molto, basterà stare sulla corsia centrale, muoversi a pelo d’acqua, pagaiare piano e mostrare ogni tanto le famose (orribili e tozze) mani pulite. A loro, virginei di nome e di fatto, Roma che il tempo se lo “magna” perdonerà il caos perdurante del traffico e i cassonetti traboccanti. Le radici del male stanno tutte nel Pd, partito da abbattere: come se lo stesso partito non avesse dato vita alle eccellenti giunte Rutelli e Veltroni.
I 5 Stelle sornioni hanno tirato fuori i precedenti delle giunte comuniste, la Raggi nel suo discorso di insediamento ha tenuto a ricordare la lezione di umiltà di Luigi Petroselli e l’alto magistero morale di Giulio Carlo Argan. Gente per bene che lavorava per l’interesse comune. Come dire più sono lontani, meglio sono. Se del pliocenico, poi.