La Roma degli sbandati e dei clochard ridotta come Nuova Delhi
Oggi Raggi è a Tor Bella Monaca a promettere pulizia e azioni contro il degrado. In attesa di vedere quanto dureranno le promesse, c’è un’emergenza che non si può più ignorare: le banchine del Tevere sono un luogo dove tutto è permesso. La morte di Beau Solomon è il simbolo di un problema di governo.
Il sindaco e la giunta si sono appena insediati. Dell’ufficio di gabinetto non si hanno notizie, come della sorte dei principali dirigenti di Comune e società partecipate. Per questo non avrebbe alcun senso chiedere che cosa si è fatto a partire dal 4 luglio, quando all’altezza di Ponte Marconi il Tevere ha restituito il corpo Beau Solomon, americano, 19 anni, che vi era caduto nella notte fra il 30 giugno e il 1° luglio. Ultima morte in ordine di tempo nel Tevere, se è vero che è stata aperta una indagine sull’annegamento nel fiume di Federico Carnicci nel 2015, e se altri episodi dubbi sono in via di approfondimento. Ma il profilo giudiziario interessa fino a un certo punto. Come fare – questo interessa di più – perché le banchine del fiume che attraversa la città, quelle a ridosso delle zone più centrali, cessino di essere il luogo dove tutto è permesso senza limiti e senza controlli? Sono almeno tre anni che, in modo crescente, nei metri che separano il piano stradale dalle acque del Tevere si è insediata ed è cresciuta una popolazione di vario tipo: clochard e sbandati, come quel Massimo Galioto che oggi è in carcere perché presunto omicida del giovane americano; ma anche r0m e persone di varie etnie.
Provate di prima mattina a scendere nel vialetto pedonale che parte dal lungotevere Vittorio Gassman e, costeggiando il fiume, giunge quasi all’altezza dello stadio Olimpico. A metà fra il vialetto e il livello della strada - soprattutto nella parte iniziale della pista – ci sono arbusti che nascondono un vero e proprio accampamento: tende, sedie, materassi, attrezzi per cucinare; qualcosa di simile compare in modo più visibile sull’altra riva del fiume. Sconsiglio sopralluoghi: la privacy è difesa con un certo impeto. Dire che da questi terrapieni scendono e risalgono durante la giornata, fra gli altri, rom con carrelli a seguito non è lanciarsi nella discriminazione etnica: è semplicemente guardare quello che accade. Dire che più d’una volta oggetti rubati nelle vicinanze - per esempio iPad con gps incorporato - sono stati segnalati proprio in quei terrapieni non significa sottolineare la discriminazione, ma descrivere la realtà. Una realtà che, col crescere di questa popolazione che esiste pur se viene ignorata, vede aumentare i furti nelle abitazioni della zona e gli scippi: mano mano che gli insediamenti paratiberini si sono moltiplicati, sulle porte degli ascensori dei condomini più vicini al fiume sono comparse interessanti incisioni; per es., le cifre corrispondenti ai piani di un palazzo e a fianco a ciascun piano dei geroglifici con l’indicazione delle condizioni degli appartamenti collocati su quel piano e degli impianti di sicurezza. In genere non trascorre molto tempo fra il sopralluogo, la traccia lasciata da esso e la ripulitura degli appartamenti additati graficamente come meglio aggredibili.
Il quartiere di Tor Bella Monaca (foto LaPresse)
Ogni tanto chi di dovere è obbligato a intervenire: quando per es. qualche fuoco meno controllato fa incendiare il verde circostante; alle norme di sicurezza e di igiene sono tenuti rigorosamente i negozi che si affacciano sopra, sul manto stradale. Di questa che è pur essa una “terra di mezzo” ci si interessa solo se è proprio necessario. Il panorama qualche metro più in basso, fra il vialetto e l’acqua che scorre, è vario: ogni tanto qualche sacco a pelo e quel che serve per trascorrere la notte; sotto i ponti, i punkabestia hanno la prevalenza nell’insediamento. Non è sempre stato così: la crescita della popolazione è stata sensibile e più intensa negli ultimi anni, insieme col degrado. Raramente si vede un mezzo dell’Ama, e chi ha la divisa della municipalizzata non dà l’idea di morire di lavoro.
Ci si deve rassegnare? La risposta non può venire solo dalla nuova amministrazione, bensì da un’azione congiunta fra essa, la prefettura e le forze di polizia. Ma senza la volontà di agire e il contributo attivo del Comune non si può immaginare nulla di serio. Il primo passo deve essere necessariamente il censimento di questa singolare fascia di popolazione. Identificando tutti i soggetti che dormono e vivono sotto gli arbusti e sotto i ponti è presumibile che emergano tre gruppi: pluripregiudicati con condanne maturate a proprio carico, che - in quanto tali - vanno trasferiti dalla riva del Tevere al carcere (in genere insieme con loro si rinviene parte di quella refurtiva che è il frutto del loro lavoro quotidiano). Stranieri privi di permesso di soggiorno, che - in quanto tali e in applicazione delle leggi europee e italiane - vanno espulsi; ma espulsi effettivamente, non va loro consegnato l’inutile foglietto con l’intimazione ad andarsene. Infine, persone che non hanno pendenze penali e sono italiani, o stranieri in regola: il Comune ha luoghi di permanenza per accoglierli e non farli vivere nel degrado e, nell’ipotesi che non accettino sistemazioni decorose, pure per loro ci sono le leggi, che permettono l’allontanamento dai siti pubblici o dall’intero territorio della Capitale.
Quando, fra il 2008 e il 2010, si concordò e fu operativo un intervento analogo nei confronti della popolazione rom di Casilino 700 e di Casilino 900, una parte dei media e di ong e onlus di vario tipo gridarono alla schedatura, evocarono la memoria delle deportazioni, animarono reazioni furibonde. Bisogna intendersi: chiunque desideri salire su un aereo non si oppone alla identificazione personale, e se lo fa non solo non parte ma ha qualche problema in aggiunta; chiunque per strada sia fermato per un controllo non invoca le leggi razziali se gli vengono chiesti i documenti. Non c’è logica nel pretendere che non si debba conoscere il nome, il cognome e la regolarità della posizione di chi vive ogni momento della sua giornata seguendo uno stile di vita che a qualche metro di distanza, nel “mondo di sopra”, è prontamente sanzionato. Né c’è logica nell’attribuire qualifiche ideologiche all’applicazione delle regole civili più elementari.
Non c’è logica nel continuare a ignorare quel che accade ogni minuto del giorno e della notte nel cuore di Roma, sotto gli occhi di tutti, e poi meravigliarsi se un giovane appena arrivato dagli USA finisce annegato nel Tevere. Certo, nulla esclude – Dio non voglia – che, pur con tutti gli interventi di bonifica, chi alza il gomito e si avvicina al fiume ci cada dentro. Sarà sempre una tragedia, per lui e per la sua famiglia. Ma il titolo del giornale, in Italia e fuori Italia, a quel punto sarà “ventenne ubriaco annega nel Tevere”, non quello che - con ragione - si è dovuto leggere qualche giorno fa. Non è una differenza da poco: è più o meno quello che distingue la Capitale più bella del mondo da una New Delhi qualsiasi.