M5s, schierarsi? Anche no
Roma. Essere il Movimento Cinque stelle, nuovo partito-non partito terzista, questo è il problema. Perché, nel day after della presa di Roma e di Torino, e nell’estate che precede l’ordalia referendaria antirenziana, essere il M5s, creatura ibrida web-non web con mire di governo, può voler dire trovare più semplice il non schierarsi del suo contrario. Tanto più che a un M5s verbalmente ammansito rispetto ai “vaffa” già guardano fette di establishment culturale e salotti in riposizionamento. E dunque, nell’urgenza di non dire troppo (troppo per i nuovi fan altolocati del Luigi Di Maio candidato premier in pectore, ma troppo, per ragioni opposte, anche per la base sopravvissuta agli tsunami), a volte si preferisce non dire quasi nulla. E tre giorni fa, dunque, come notava l’Huffington post dopo l’attentato di Nizza, la posizione ufficiale dei Cinque stelle pareva improntata a un diplomatico svolgimento in generale del tema proposto: “Siamo sgomenti di fronte a quanto accaduto a Nizza”, diceva la nota, “ed esprimiamo il nostro cordoglio ai parenti delle vittime e la vicinanza a tutto il popolo francese… Si impone una seria riflessione sulla sicurezza e il terrorismo”. Ma è la natura stessa del Movimento a rendere faticosa la linea netta: come tenere insieme, infatti, gli ex delusi della sinistra con i reduci della Lega con gli insofferenti da “piove governo ladro a prescindere” con i provocatori a casaccio e con i giustizieri catartici che a Roma hanno votato Virginia Raggi “perché così gli altri imparano”? E come far tornare i conti presso la suddetta base che qualche settimana fa, al momento della Brexit, chiedeva insistentemente conto della virata moderata ai piani alti del M5s: “Ma come?, non eravamo per uscire pure noi?”, era il senso di molti commenti sul blog di Grillo.
Intanto, però, le dichiarazioni dei parlamentari andavano in direzione del mantra “il M5s è in Europa e non ha intenzione di abbandonarla”. E alla fine restava il “no” all’euro, ma non molto altro, e gli attivisti che si erano addomentati pro-Farage si risvegliavano dalla parte opposta, complici i viaggi in Europa del Di Maio in tour di accreditamento preventivo. E se Alessandro Di Battista, all’indomani della Brexit, diceva: “Quello che è certo è che non appena a un popolo è permesso di scegliere si vedono i risultati. Quella è la strada, anche per noi”, qualcun altro ai vertici del Movimento doveva metterci la toppa – pena la perdita di credito come futuri referenti istituzionali – e buttarla sulla dichiarazione pro-referendum tout court, in quanto “strumento” irrinunciabile per i teorici della democrazia dal basso.
Immigrazione e unioni civili
E’ guaio grosso, a casa Cinque Stelle, anche quando si deve parlare di immigrazione: si era partiti infatti, nel 2013-2014, con la prima apertura del fronte interno sul reato di immigrazione clandestina, con il duo Grillo-Casaleggio di qua e una parte dei parlamentari e soprattutto dei votanti sul web di là. Risultato: sull’immigrazione, nel mondo a Cinque stelle, si spazia dal terzomondismo corretto (“accogliere i profughi” ma con juicio) al pugno di ferro del Grillo 2014 (al leader capitò di esprimersi con espressioni del tipo “rispedire i cosiddetti clandestini a casa loro”). Sull’Isis, poi, anche se nessuno più rispolvera il Di Battista di due anni fa, quello che voleva “elevare a interlocutori” i miliziani provenienti da “villaggi bombardati da aerei telecomandarti a distanza”, l’univocità fatica a imporsi sulle bacheche Facebook dei parlamentari (che ora, con Di Maio, sono orientati a un moderato interventismo via coalizione internazionale).
Ma i momenti in cui più si è fatta strada la tentazione di temporeggiare, non dichiarare o dire la classica verità palindroma che possa cioè essere letta da destra e da sinistra allo stesso modo – sono arrivati, nel M5s, circa quattro mesi fa, quando la base si è ribellata al post di Grillo sulla libertà di coscienza in tema di unioni civili (e qualcuno, sul blog, ha lanciato allora l’accusa delle accuse: “Democristiani dell’ultima ora!”). E ora che il movimento del “vaffa” vuol farsi governativo c’è chi, tra i nemici, si diverte a compulsare su Facebook la pagina denominata “aggregatore di contraddizioni” a Cinque stelle.