A Modena va in scena l'anti reddito di cittadinanza. Così
Roma. Se si vuole trovare un esempio pratico di come sia possibile già adesso aiutare famiglie e persone in difficoltà senza brandire lo slogan astratto (nelle coperture) e piuttosto propagandistico (nelle intenzioni) del reddito di cittadinanza in salsa grillina, bisogna andare a Modena. Lì il Comune da settembre 2015 ha avviato la sperimentazione di una forma di welfare che si chiama “patto sociale”, in quanto prevede aiuti economici in cambio dell’impegno in attività di utilità pubblica, dal volontariato alla distribuzione di vestiti nelle parrocchie, alla manutenzione del verde. Il primo bando prevedeva un assegno di 300 euro netti per tre mesi rinnovabili di altri tre. Il secondo appena firmato aumenta la cifra a 400 euro netti, per 52 famiglie e un esborso di 150 mila euro coperti dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Ai quali il Comune intende aggiungere risorse proprie attinte da 2,3 milioni destinati all’assistenza sociale propriamente detta, per portare le famiglie beneficiarie a circa cento.
Come funziona? Bisogna innanzitutto tenere presente la tradizione dell’Emilia in fatto di solidarietà, alla quale contribuiscono enti pubblici, parrocchie e privati. E dall’altro lato un senso civico che dovrebbe escludere l’assistenza a pioggia. “L’assistenzialismo è la prima cosa che ci siamo proposti di evitare, e già la formula dei lavori utili socialmente ci evocava pessimi precedenti”, dice al Foglio Giuliana Urbelli, assessora al Welfare del Pd in una giunta guidata dal 2014 da Gian Carlo Muzzarelli, sindaco bersaniano, e però in buoni rapporti con il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che al ballottaggio ha sconfitto il candidato del M5s appoggiato da Lega, Fratelli d’Italia e parte del centrodestra. La simbologia politica si spreca ma qui si preferisce parlare della sussidiarietà, che integra con fondi privati-pubblici e metodi privatistici, ciò che non può fare lo stato. “Infatti – chiarisce Urbelli – la nostra iniziativa si aggiunge al Sia (Sostegno per l’inclusione attiva) del governo Renzi, che troviamo molto positivo, e al Res, il reddito di solidarietà approvato dalla regione Emilia-Romagna, con una dote di 40 milioni che si aggiungono ai 37 attesi in questa zona dal Sia.
La caratteristica comune è quella che Giuliana Urbelli chiama “targettizzazione” degli interventi. Se il Sia è una social card ricaricabile che varia da 231 a 404 euro mensili a seconda del nucleo familiare, per chi ha perso il lavoro e un indicatore Isee (reddito più patrimonio) inferiore a 3mila euro, il Res blocca le tasse per le persone disagiate ma anche l’Irap per le imprese che operano nel privato sociale. Modena aggiunge 400 euro “mirati specialmente a chi ha una casa ma non è in grado di sostenerne le spese, a persone con redditi fino a 10 mila euro che hanno perso il lavoro ma non stanno con le mani in mano, il tutto certificato da ricevute e attestati di frequenza. Partendo anche dal presupposto che molti non vogliono dichiararsi poveri, desiderano mantenere la dignità in un periodo transitorio, insomma non intendono campare di elemosine pubbliche”.
In questo modo l’amministrazione punta anche a riqualificare gli uffici pubblici che devono controllare i requisiti: esempio, non si può vivere in una casa popolare, la fascia di età tra i 18 e 35 anni deve consentire o di ritrovare lavoro o di svolgere un’attività, non si deve essere stati licenziati per giusta causa. Egualmente le agenzie e associazioni private del lavoro devono risponderne al comune, “perché i soldi sono pubblici e non vanno sprecati”. Urbelli dice di non voler fare polemica politica, però precisa che questi interventi “di cui rendiamo conto ai contribuenti”, sono tutti mirati: “Mentre il reddito di cittadinanza può suonare bellissimo, ma con quali soldi e strumenti lo finanziano e lo mettono in pratica?”.