La domanda a cui Parisi deve rispondere sul no al referendum
Al direttore - Una Forza Italia affidata al manager di formazione socialista Stefano Parisi non può che essere una buona notizia, se non altro perché restituisce al centro-destra una prospettiva alternativa al ghetto impresentabile e minoritario nel quale lo ha ridotto il ticket Salvini-Meloni. Le mosse del candidato-sindaco di Milano per annunciare il suo nuovo impegno nazionale sono tuttavia un (legittimo) mix di nostalgia e di astuzia. Parisi fa appello al mondo delle competenze e delle imprese, a quanti provano una dolce nostalgia per il Berlusconi che prometteva la rivoluzione liberale ma nutrono anche un doloroso rammarico perché quella rivoluzione non ha mai visto il giorno. Gli intenti di Parisi non saranno gozzaniani e “le cose che potevano essere e non sono state” saranno declinate in termini più moderni e spregiudicati alla convenzione che egli annuncia per settembre, ma la cifra del messaggio con il quale si resetta il centro-destra punta alla mobilitazione della “società civile”, degli “uomini del fare” , dei “non politici”.
E qui sorge il primo dubbio: ma è davvero convinto, il centro destra versione Parisi, che lo spirito profondo del paese sia ancora innamorato di tutto ciò? Le nostre antenne sono infinitamente più fragili e povere delle potenti reti di Forza Italia che auscultano l’Italia ogni giorno. Eppure ci dicono che un pezzo di paese reclama invece politica, purissima politica e luoghi della politica, e ha incartato fra le cose vecchie e impolverate – fra le cose che non hanno dato né serenità né prosperità alla nazione – i partiti dei giudici, i tele giornalisti predicatori e anche, guarda un po’, le fantomatiche “forze della società civile” e “gli uomini del fare” che non han fatto. Tutta roba che lungo un ventennio ha prodotto, dicono ormai in tanti, un’Italia dove si inaugurano sempre più forche e si chiudono sempre più forni.
Nostalgia buona di rivoluzione liberale a parte, Parisi ha poi imboccato una strada con astuzia. Voterò “No al referendum”, dice. E aggiunge che no, per carità, il suo sarà un No propositivo, mica distruttivo come tanti altri No. Di conseguenza Parisi propone che il governo Renzi resti in carica anche con la vittoria del No, e che intanto si faccia una bella Assemblea Costituente, da eleggere ovviamente con il sistema proporzionale. Ecco: qui lo vorremmo capire meglio. Sentiamo profumo di stratagemma ben più che di cultura di governo. Parisi sa fin troppo bene quali sarebbero le conseguenze del No sulla parabola di Renzi, e ancor meglio sa che all’indomani della vittoria del No i nomi che si farebbero largo come protagonisti del centro-sinistra avrebbero anch’essi un sapore gozzaniano, un “qualcosa di nuovo, anzi d’antico”: Massimo D’Alema, Rosy Bindi, Ciriaco De Mita già cavalcano la romantica onda del No, insieme al nuovo intellettuale della Magna Grecia Luigi Di Maio e ai suoi fanculotti.
A tutti costoro, di fatto, Parisi strizza l’occhio alludendo a un grande lavacro proporzionalista, a un’assemblea (o perché no, a una sexissima Bicamerale d’antan) che regali al Paese un bel biennio di profondi “dibattiti sulle riforme” . E nel frattempo? Quel che Parisi allo stato non dice è quale governo di scopo lui stesso, o chi per lui, sarebbe chiamato a fare a Novembre, in caso di vittoria del No. Chi lo comporrà, chi eventualmente vi parteciperà, per fare quale legge elettorale e in quale quadro economico, sociale (e giudiziario, per capirci) tutto ciò accadrà? Così, tanto per sapere. E per spedire a Parisi, insieme con i nostri sinceri auguri, un messaggio in bottiglia. La tua nomina porta un po’ di luce in una politica buia. La speranza è che non sia sprecata illuminando quella che, con la vittoria del No e le sue conseguenze, rischia di mandare in onda solo un vecchio film. La notte dei morti viventi.
Giovanni Negri - Radicali per il Sì