Sulla marijuana s'avanza uno strano legalizzatore: Paolo Mieli
Non ce lo vedo manifestare in Time Square il volto nascosto da una maschera a forma di pianta di marijuana ma tanto è: il capo del terzismo italiano, l’editorialista più autorevole e prestigioso del serraglio, il cardinale e facitore di re Paolo Mieli ha aperto la settimana prendendo posizione a favore della legalizzazione della pianta verde, in una lunga spalla elogia i promotori del disegno di legge Giachetti-Della Vedova, entrambi cresciuti alla scuola di Marco Pannella (e per questo voto 7) e si dice colpito dal tono civile della discussione e dalla trasversalità del consenso. In effetti 221 deputati e 73 senatori appartenenti a tutti gli schieramenti politici lo sostengono, il dibattito a Montecitorio è durato poche ore e rinviato a settembre. Sono a favore il Pd, i 5 Stelle, Sinistra italiana e pare una maggioranza di Forza Italia. Si oppongono una parte (larga) di Area popolare. E ovviamente la Lega.
C’è un po’ di confusione in giro però se persino il caro Camillo Langone, chiara figura si sarebbe detto una volta di reazionario senza vergogna (voto 9), si scopre all’improvviso anti proibizionista e si trasforma in un progressista qualsiasi pronto a prendere le distanze persino dal suo amato Carlo Giovanardi.
Diciamocelo, mette insieme il peggio del peggio: gli eccessi giuridici e legalitari propri della cultura radicale con cui si riconosce alla legge e solo alla legge il potere di sovvertimento e le ubbie sociali e comunitarie care alla sinistra. Si potranno detenere cinque grammi di marijuana fuori casa e quindici in casa, coltivare piantine sul balcone o in giardino nel numero massimo di cinque.
Ogni volta che sento un testo di legge fissare soglie e paletti a casaccio, mi vengono in mente quelli di Maastricht (voto 2) e ho detto tutto.
Il fumatore di cannabis potrà anche associarsi con altri, ma non più di cinquanta, per formare una sorta di piantagione parallela ovviamente senza scopo di lucro, dar vita a una club house che c’è da scommetterci diventerà rapidamente l’embrione di una nuova sezione dell’associazionismo ricreativo, più o meno un Arci-Canna.
Mieli è di formazione uno storico, e pure sacrosantamente bravo, è chiaro, esplicativo al massimo, altamente pedagogico, non trascura esempi né citazioni azzeccate e note a margine. Insomma una goduria, raramente bara, ma questa volta mi ha lasciato in appetito: voto 5.
Perché questa grande importanza data alla cannabis? L’impiego dei suoi principi attivi a scopo farmacologico per malati terminali ha davvero bisogno della legalizzazione? Chi fa uso di fumo, cioè di hascisc, marocchino o afgano, sotto forma di pane, di olio o di infusione, prodotto considerato mediamente molto più forte della marijuana, potrà farlo alla luce del sole o dovrà ricorrere davanti la suprema corte per discriminazione di genere? Marco Pannella (voto 10 in memoria) fumava pubblicamente la qualunque perché voleva fossero legalizzate tutte le droghe cosiddette leggere.
Questa storia poi che la marijuana stimoli la creatività e vederne una conferma nella beat generation, è quanto meno da prendere con le molle: se un poeta può anche fumare non è detto che chi fuma sia un poeta. A me è capitato e mi sono sentito più cretino del solito, prova anche tu caro Mieli: mi sembrava di vedere le cose in modo effettivamente più preciso, acuto e fare analisi a prima vista profonde ma poi quando andavo a metterle sulla carta scrivevo cose senza senso e appena l’effetto svaniva non le ricordavo nemmeno più: una bolla fatta di nulla.
Sono d’accordo con Nicola Gratteri (voto 9) e non con Roberto Saviano (voto 4) né con il capo della Dia Franco Roberti (voto 6 perché almeno non si limita a parlare): legalizzare la marijuana non intacca il monopolio del narcotraffico. Può mettere po’ di pressione su albanesi e montenegrini, ma per colpire i grandi cartelli ci vorrebbe ben altro, magari a tornare alla vendita della cocaina nelle farmacie come all’inizio del Novecento. Milton Friedman, l’economista della scuola di Chicago, denunciò il fallimento del proibizionismo e preconizzò la legalizzazione di tutte le droghe a cominciare da eroina e cocaina. Ma persino queste oggi fanno pallida figura di fronte al fiume di pasticche, di droghe chimiche fabbricabili ovunque da chiunque e che costano pochissimo e provocano sballi micidiali su chi ne fa uso. Lo spinello o la canna sono un biglietto d’ingresso, il segno della disponibilità di ognuno a farsi un giro completo a fantasilandia, ci si può fermare nella hall di ingresso oppure no, in ogni caso smetto quando voglio è un’illusione. C’è chi al primo tiro di canna o spinello diventa pallido, sente montare la nausea e vomita e quasi sviene: ha paura di perdere il controllo, il rapporto con la realtà lo terrà lontano dalle droghe. E chi invece la prima canna, il primo spinello, se li gusta, ride, per lo più come uno scemo, diventa bulimico, di dolci di preferenza, insomma una vera botta di vita che allo svanire lascia appena una leggera forma depressiva. Ecco per questa parte di umanità il viaggio verso il buco, verso il primo flash dello shoot, non è poi tanto lungo. Perciò, dont’take the joint, my friend.
NO, NON E’ LA BBC
E’ stata anche la settimana dello scandalo: già ma quale? Gli stipendi dei dirigenti e delle grandi firme Rai messi on line come prescrive la legge non possono essere definiti scandalosi: persino in una società ormai micragnosa, plasmata dall’invidia e impregnata di cultura del pauperismo non si può pensare che amministratore delegato e manager di alto livello di un’azienda di 13.000 dipendenti debbano guadagnare meno di 12.000 euro netti al mese. Se scandalo c’è, è nell’organigramma che sottende i salari pubblicati. Dovrebbe giustificarli, invece concorre a dare della Rai l’idea di un sarchiapone, di un animale mitologico, di un assemblaggio di feudi, di zone franche, in cui il lavoro e le mansioni sono suddivise come se si vivesse in una età dell’oro permanente, come se si fosse ancora ai tempi di Ettore Bernabei e Amintore Fanfani (voto 10).
L’arrivo di Antonio Campo Dall’Orto doveva smuovere le acque: ma la Rai non è Mtv né La7, non è una struttura agile in cui sperimentare, fare prodotti di nicchia. E’ una balena spiaggiata e ansimante, insofferente a ogni tentativo di rianimazione, morirà tra i Fazi, le Carlucci, i Conti, i Baudo, i Don Matteo e le fiction di ispirazione civile e religiosa fino all’estinzione del suo ultimo anziano spettatore. Per dire, si vuole procedere all’alfabetizzazione digitale del pubblico? Ecco convocati alla bisogna tre simpatici carabinieri di don Matteo: ma sono ovviamente fuori ruolo, si vede e si sente e l’operazione suona terribilmente falsa (voto 2).
Le acque del cambiamento impossibile stanno dunque sommergendo ACD e la presidente Maggioni (voto 5, a entrambi). Si capisce la delusione del premier e di chiunque vorrebbe una Rai che fosse vera concorrente della BBC. Massimo Mucchetti, parlamentare del Pd, ex giornalista economico del Corriere, da sempre sostiene il ruolo dello stato in economia. Eppure è favorevole a privatizzare la Rai, a dare al mercato almeno due reti, Rai 2 e Rai3, (voto 9). Ci sarebbe pure un’ampia e trasversale maggioranza.
Ma non succede nulla. A toccare la Rai si rimane folgorato.
ASSESSORE A ROMA
Finalmente un 5 stelle che fa una cosa come dio comanda: Paola Muraro, assessore alla nettezza urbana del comune di Roma, è andata all’Ama senza farsi annunciare e ha cazziato in diretta streaming l’intero gruppo dirigente (voto 8). Non depone a suo favore che in passato ha lavorato per l’azienda di cui oggi è responsabile, né che abbia un contenzioso per 200.000 euro di passate consulenze che non le sono state pagate. Non sta nemmeno tanto bene rivolgersi ancora al Cerroni, patron dell’ottavo colle di Roma, la discarica di Malagrotta, che Ignazio Marino chiuse due anni fa. Ma fa piacere che uno dei principali bracci operativi della sindaca Raggi abbia fegato per andarci pesante e chiedere ai responsabili delle municipalizzate conto delle loro inazioni (voto 0).
SINDACO A TORINO
Partita bene, Appendino (voto 5) già inciampa nel tappetino dell’ideologia. Prima l’introduzione delle giornate di cucina vegetariana e vegana nelle mense scolastiche. Poi il delirio sulle onde elettromagnetiche che farebbero male alla salute. Con conseguente riduzione delle zone wi-fi in città e del tempo di collegamento wireless nelle scuole. Ma non erano il suo capo comico e il guru Casaleggio senior a voler rottamare la vecchia politica in nome nella nuova gloriosa era della connessione universale, della meravigliosa rete e delle miracolose stampanti in 3D?