Le meravigliose avventure del dottor Di Maio alle prese con il sangue e merda della politica
Luigi Di Maio è un politico di sicuro talento e anche di buona comicità e da molti mesi sta provando a far cambiar pelle al Movimento 5 stelle proiettandolo verso un mondo all’interno del quale i grillini dovrebbero recitare la parte di una forza di governo. Siamo certi che l’esperienza di sicuro successo del sindaco di Roma Virginia Raggi sarà un moltiplicatore straordinario di grandi consensi. Ma nell’attesa di costruire una solida leadership attraverso la futura derattizzazione di Tor Bella Monaca e di Spinaceto crediamo possa essere utile mettere in fila una serie di ragioni per cui ci sentiamo di dubitare che il grillismo – e chissà che non l’abbia capito anche l’ottimo Luigi Di Maio – sia compatibile con le pratiche di governo. Per anni, lo abbiamo visto, l’elettore grillino, a cui va la nostra più sincera e incondizionata solidarietà, è stato abituato a descrivere i politici al governo come se fossero un insieme di potenziali e puzzolenti criminali con molti parenti e amanti a cui trovare un posto di lavoro, con molti contatti con il mondo della criminalità organizzata, sempre a servizio delle orrende e potenti lobby del potere, sempre pronti a ingrassare con soldi pubblici il cavallo pazzo della casta e specializzati nell’usare l’arma del garantismo, che come sappiamo non esiste e deve essere sempre considerato un ottimo gargarismo, per silenziare i magistrati indiscussi e indiscutibili paladini della giustizia. La linea della sputazzamento e associati è sempre stata molto chiara e molto coerente e da anni in fondo vediamo sempre le stesse garbate scene. Un accordo tra due partiti diventa un inciucio tra ladri. Un avviso di garanzia diventa una sentenza di condanna. Un incontro con le lobby è un cedimento alla massoneria. Una riunione a porte chiuse e senza streaming di un partito diventa il sospetto che si stia costruendo un patto indicibile con i poteri occulti. Un viaggio in Israele significa essere agli ordini del Mossad. Una cena nei salotti della finanza significa essere schiavi dei banchieri. Un parente assunto da un politico diventa il sintomo di una parentopoli. Lo spoil system diventa una lottizzazione o addirittura una spartizione. Un’indagine per associazione mafiosa a carico di un politico diventa la prova che il partito di quel politico è infiltrato dalla mafia. L’uso dei soldi pubblici per salvare le banche diventa una tassa occulta pagata dai contribuenti al Bilderberg della finanza. E così via.
Nel suo ruolo da capofila, modello geometra Calboni, della cordata dei grillini di governo si capisce dunque che Luigi Di Maio si trovi in un ruolo complicato. Incontra giustamente le lobby e deve dire che no scusate le lobby non puzzano ma sono il sale della democrazia. Partecipa alle riunioni del Trilateral e deve dire che no scusate, niente, Er Bilderberg non esiste, si scherzava, qui sono tutti bravi ragazzi. Osserva lo spoil system delle sue magnifiche sindache e deve affrettarsi a dire che quelle di Virginia e di Chiara sono rivoluzioni, sciocchini, e non lottizzazioni. Si ritrova con molti compagni del Movimento pieni di amici, parenti e fidanzati piazzati in alcuni luoghi chiave delle amministrazioni e deve affrettarsi a dire che parlare di parentopoli, stupidini, è una scemenza perché qui si giudicano tutti in base al merito, per Bacco, e se un parente merita di essere promosso è bene che quel parente venga valorizzato e non penalizzato. Infine, quando il nostro eroe scopre che un suo sindaco è indagato per abuso di ufficio, dopo aver detto che i politici indagati per abuso d’ufficio dovrebbero dimettersi cinque minuti dopo avere ricevuto l’avviso, invita i suoi sindaci a non cedere alla giustizia sommaria ricordando a tutti (scusate abbiamo le lacrime agli occhi) che si è innocenti fino a prova contraria. E così, dopo aver rilasciato ai giornali un tempo classificati nella categoria della massoneria finanziaria interviste per affermare che non devono essere gli investitori a pagare i pasticci delle banche ma deve essere ovviamente lo Stato che non può permettersi di lasciare soli i risparmiatori, dopo aver fatto tutto questo, e molto altro, sceglie di aprire un nuovo fronte contro il presidente del Consiglio denunciando una pratica invero scorretta e denigratoria: “Una vera e propria campagna di odio che partiti e parte della stampa stanno fomentando contro Virginia e Chiara”. In un editoriale pubblicato la scorsa settimana l’Economist, il settimanale della City – probabilmente non del tutto soddisfatto dei pellegrinaggi della Di Maio e Associati nei salotti buoni della finanza europea –, ha scritto in modo impietoso che il Movimento 5 stelle è del tutto impreparato a governare perché “gli sforzi per sollecitare gli input dei cittadini hanno prodotto una piattaforma confusa”; “la politica estera è infusa di antiamericanismo”; “la politica economica punta principalmente sul referendum sull’euro”. Le critiche dell’Economist in realtà sono persino troppo severe per un partito che, bisogna essere onesti (onestà, onestà, onestà!), da mesi si sforza di non dare una sola indicazione ai suoi elettori rispetto alla sua linea sul referendum sull’euro, sulla politica estera. Cosa pensa il Movimento 5 stelle della Brexit? Cosa pensa il Movimento 5 stelle della Turchia? Cosa pensa il Movimento 5 stelle delle elezioni americane?
Il punto centrale del piccolo dramma del Cinque stelle, punto che contribuisce a rendere Di Maio un leader involontariamente comico e generoso, è che i grillini hanno educato i loro elettori a vomitare un cordialissimo odio verso ogni pratica legata all’attività di governo e di conseguenza quando si avvicinano ai posti di governo non hanno alcun tipo di speranza di dimostrare che ciò che era nero invece è bianco e che ciò che era solo politica non era esattamente letame. Inquinano i pozzi e poi si lamentano che l’acqua dei pozzi è inquinata. Una meraviglia. E sarà un piacere vedere come il sangue e merda della politica di governo aprirà il Movimento 5 stelle come una scatoletta di tonno.