La settimana degli spin doctor
Claudio Borghi Aquilini (voto 5), responsabile economico della Lega Nord e importante collaboratore di Matteo Salvini, ha inviato al Foglio un testo con le dieci condizioni programmatiche per costruire l’alleanza con Forza Italia. I punti sono: dapprima il lavoro in Italia e agli italiani, riconquista della sovranità nazionale, stop all’immigrazione incontrollata, abolizione del bail-in e garanzia statale sui depositi, difesa della famiglia tradizionale, giustizia del sistema fiscale e pensionistico, rispetto per le comunità e le autonomie, cancellazione del reato di eccesso di legittima difesa, vincolo di mandato per i parlamentari, e la chiusa: infine padroni a casa nostra.
Cose chiare e semplici: forse troppo. E’ un programma con forti tinte lepeniste, a cominciare dal tema della preferenza nazionale. “Les français d’abord” con il corollario che suonava come una filastrocca, preferisco mia cugina alla mia vicina e la mia vicina alla straniera, se la inventò Le Pen padre una trentina di anni fa. Non ebbe successo nella Parigi cosmopolita e globale ma sfondò fra i petits blancs, nella Francia delle campagne e delle periferie, facendo del Front National che allora era un gruppuscolo un partito a due cifre. Lo charme del mondialismo è molto diminuito da allora, è in ribasso anche nelle zone urbane e nelle grandi città. Il tema della preferenza nazionale quindi potrebbe essere ancora più pagante. Solo che la Lega è già in doppia cifra, gli arrabbiati e incazzati, quelli del bianchetto al bar, li ha già intercettati: per provare a vincere sia pure con una coalizione ora dovrebbe conquistare l’aborrito ceto medio riflessivo. E quelli che vengono chissà perché chiamati moderati e che in realtà non esistono.
Non so quanto possa piacere a questo tipo di elettore una politica autarchica, con dazi e frontiere a protezione di qualsiasi made in Italy, dalle latterie alle ferramenta, con ineludibile uscita dall’euro e ritorno alla asmatica liretta. Risparmiatori, contribuenti e proprietari di case vorrebbero ben sapere quanto verrebbe a costare questo maschio ritorno al passato.
Sconcerta poi il tono apodittico: chi non è d’accordo con l’abolizione immediata della legge Fornero, non ha nulla a che fare con la Lega. Già ma quanto costa cancellare la legge che porta il nome della nostra ministra preferita (voto 9 anzi 10, vista l’ossessione con cui è stata ingiustamente e malignamente presa di mira, quando fu l’Inps di Mastrapasqua, voto 2, a barare sui dati e sui conti). E dove si troverebbero le coperture?
La Lega non vuole allearsi con chiunque pur di vincere: e questo è lodevole, non abbiamo dimenticato quanto fossero parolaie e impotenti le coalizioni fatte “contro” e non sull’adesione a poche linee guida dell’azione di governo, non l’hanno dimenticato né Berlusconi né Prodi che furono tenuti al laccio dall’opportunismo degli alleati.
La bozza di programma di Claudio Borghi è all’intenzione di Stefano Parisi e punto importante nella discussione eventuale con Forza Italia.
A occhio direi che non ci siamo. E rileggendo più attentamente quanto detto da Parisi al mio direttore la settimana scorsa, direi che non ci siamo proprio. Tra FI o come si chiamerà la nuova creatura berlusconiana e questa Lega, c’è un fossato con i coccodrilli. Ed è proprio per capire fin dove ci si potrà spingere che si sono rimessi all’opera vecchi saggi come Umberto Bossi (voto 8). E un po’ meno vecchi e un po’ meno saggi, come Roberto Maroni (voto 7).
DICE FUNICIELLO
E’ stato Antonio Funiciello (voto 9) braccio destro di Luca Lotti e consigliere di Palazzo Chigi ad inaugurare questa casuale settimana degli spin doctor con un paper, sul Foglio di martedì, su altro argomento: la riforma del Partito democratico come condizione indispensabile alla nascita della Terza Repubblica. E’ un tema che non interessa il grande pubblico e nemmeno larga parte degli addetti ai lavori, tranne forse Bersani e il buon Fabrizio Barca, ma è un tema importante.
La sua tesi è che c’è crisi della rappresentanza un po’ ovunque in occidente tranne che negli Stati Uniti, dove i due partiti storici tengono, sono riferimenti stabili, inglobano anche le ali estreme, sia Trump che Sanders si sono iscritti al registro degli elettori dei rispettivi partiti rinunciando a presentarsi come candidati indipendenti: si sono quasi azzerate le spinte terziste che un tempo erano forti. Quando il miliardario dell’informatica Ross Perot si presentò da terzo incomodo non vinse ma prese un incredibile 20% che fece perdere il presidente repubblicano uscente George Bush senior e vincere Bill Clinton.
In Europa invece, scrive Funiciello, i partiti non sono riusciti a reinventarsi dopo la caduta del Muro e in Italia, in particolare, l’ulteriore handicap della disgregazione indotta da Tangentopoli ha sostituito una palude senza anima a un sistema di partiti forti come erano quelli della Prima Repubblica. La sinistra è in crisi ovunque: in caduta libera i socialisti francesi, al guinzaglio della Merkel i socialdemocratici tedeschi e infine mal rappresentato il Labour. Solo acuto in tutti questi anni lo score del Pd alle Europee del 2014, il famoso 41 per cento, dimostrazione di forza su cui ancora campano Renzi e il governo. Tra la destra che ha difficoltà a sintetizzare le sue diverse anime e i 5 stelle governati da un algoritmo, il Pd non ha ancora un partner per stabilizzare il quadro politico e dar vita a un sistema dei partiti largamente rappresentativo: è solo in Italia e non ha sponde in Europa dove la sinistra tace.
In futuro per rafforzarsi dovrà trasformarsi in un partito elettorale, con una struttura centrale leggera composta al vertice da ruoli di struttura e non di linea.
Funiciello si permette pure il lusso di citare Giorgio Amendola (voto 10 e lode alla nostalgia, ce ne fossero oggi) quando diceva che non bisogna lasciarsi tentare dalla discussione per la discussione, che serve un partito di combattenti e non di chiacchieroni in cui la discussione è utile perché prepara e illumina l’azione. Ora a parte la citazione che è del 1956 e ha vago profumo cominternista, Funiciello dice quello che Renzi non ha detto finora, almeno in pubblico, forse per il calcolo di non impelagarsi in affari di partito o forse perché non è proprio la sua tazza di tè. Eppure se mettessero in stand by per un po’ quell’inutile pantomima che è la direzione e tutti andassero in giro a parlare del partito, anzi del Partito, il feticcio più caro ai militanti ma anche il più ambiguo e pericoloso, tutto il sistema dei partiti e la stessa rappresentanza politica ne uscirebbero rafforzati.
BIANCA
Bianca Berlinguer (voto 10) non ha ancora detto niente sulla sua sostituzione alla guida del TG3: ha troppa intelligenza ed eleganza interiore per fare commenti sulle sue vicissitudini. Anche se non sono personali ma pubbliche e perciò inevitabilmente politiche. Se non ho capito male fra qualche ora sarà su La 7 a In Onda ospite di quel simpatico duo Titti e Silvestro, (Tommaso Labate e David Parenzo, voto 8). Sono certo che non si lamenterà, non si atteggerà a vittima perché non lo è. Perdere potere brucia a tutti ma se sei stato direttore per sei, sette anni, l’avvicendamento è nell’ordine delle cose e la decisione nelle mani dell’editore.
La Rai poi è così, da sempre. Anzi Bianca Berlinguer è fra quelle che è durata di più nell’insieme dei direttori di telegiornali. Ha ragione perciò Tommaso Cerno (voto 8) nuovo direttore dell’Espresso, ad accusare qualche figura della minoranza Pd come Speranza, i dimissionari della Commissione di vigilanza come Gotor o quanti si sono opposti in Cda come Freccero, di fare polemiche pretestuose (ai piantatori di grane inutili, voto 4).
VIRGINIA
E’ irritante, non si capisce ancora se è una timida insicura o una che fa la dura e se la mena senza esserlo. I suoi sono in scia, predicano bene e razzolano così così. Poi una che dice che Roma Capitale sarà portatrice di una visione biocentrica che si oppone all’antropocentrismo specista che ha trovato massima espressione nella cultura occidentale, una così è davvero capace di tutto. Comunque anche lei ha diritto à l’état de grace, i cento giorni di rispetto dovuto al politico che ricopre la carica per la prima volta: furono dati persino al suo predecessore, il Pokemon venuto dall’America.
Anzi lei dovrebbe averne di più: ha cominciato tardi, c’è la furiosa estate di mezzo e le è arrivata tra capo e collo la matrangata dei rifiuti. Perciò gentile sindaco si calmi, respiri senza affanno, si regga forte. Vogliamo che mangi il panettone. E anche la colomba.
A noi ci lasci mangiare fagioli con le cotiche, minestra d’arzilla, rigatoni con pajata, coda alla vaccinara e bucatini alla amatriciana. I piatti della cucina popolare romana saranno pure antropocentrici ma ci gustano assai (voto 10 e lode).