Perché non devono essere i pm a riformare le intercettazioni
Chiamiamola burocraticamente Pratica num. 285/VV/2016 – come fosse una nota ministeriale abbandonata distrattamente su di una scrivania nella incipiente calura estiva – per esorcizzarne la natura sulfurea nascosta dietro una titolazione piuttosto neutra e mimetizzante: “Ricognizione di buone prassi in materia di intercettazione di conversazioni”. Summa teologale di tutte le circolari assunte da alcune procure al fine “di impedire la indebita diffusione di dati personali non rilevanti”, in realtà già vietata dalla legge e dalle norme in tema di trattamento di quei dati. Tutto ciò sarebbe dunque normale se questa “ricognizione” non suonasse alla fine come un autodafé, una possibile clamorosa confessione: sino ad oggi gli uffici giudiziari si sono resi responsabili di un trattamento indebito, violativo dunque delle leggi, al quale occorre finalmente porre fine. In una normale democrazia, fondata sugli elementari canoni della separazione e dell’equilibrio fra i poteri, il legislatore legifera al fine di regolamentare le prassi eventualmente distorsive e di ricondurre il riformato all’osservanza.
Capita ora che oggetto della riforma sia proprio l’agire della magistratura, e che il parere dovrebbe essere dunque chiesto proprio a coloro che avrebbero dimostrato secondo lo stesso Csm una qualche (dichiarata) insubordinazione alla legge. Capita, tuttavia, nel nostro paese che sia la magistratura stessa a sottrarre dall’imbarazzo il Legislatore, anticipando ogni sua possibile iniziativa, ricordando però che non intende in alcun modo “condizionare” il legislatore, il quale tuttavia “farebbe bene ad attingere dalle linee guida”, con l’evidente consapevolezza del ruolo totalmente sbilanciato che la magistratura e il Csm hanno assunto nel nostro paese. La materia, dopo lo sdoganamento, per via interpretativa, dell’utilizzo di strumenti captativi intrusivi e ubiquitari, ha ad oggetto la tutela della libertà di comunicazione, l’inviolabilità del domicilio, la tutela della vita privata e familiare, di cui all’art. 2 Cost. e all’art. 8 CEDU, e del diritto di cronaca. Ci chiediamo ora come potrà il legislatore, rimasto a lungo silente sul punto, rifiutare una simile proposta offerta su uno splendido vassoio d’argento, dietro il cui baluginante aspetto si apre tuttavia il baratro di quella misera democrazia giudiziaria nella quale i nostri diritti e le nostre garanzie sono volute, scritte, interpretate, applicate e disapplicate per via di un unico autocratico potere.
Beniamino Migliucci, Presidente dell’Unione delle camere penali