Ryszard Legutko all'Europarlamento di Strasburgo (foto LaPresse)

Contro il mito della società uguale

Claudio Cerasa
Un libro scorretto di un filosofo polacco centra un punto cruciale dei nostri giorni: egualitarismo e dispotismo sono facce della stessa medaglia. Cos’è quel demone che ha tradito il liberalismo ferendo la libertà di espressione - di Claudio Cerasa

E se fosse una questione di dispotismo culturale prima ancora che una questione di correttezza politica? Ci vorrebbe un buon editore per portare in Italia un libro geniale scritto da un eccentrico filosofo polacco  uscito qualche mese fa negli Stati Uniti con un publisher di successo: la Encounter Books, tosta casa editrice di tradizione conservatrice, legata alle lezioni di Irving Kristol e Stephen Spender, così insofferente al politicamente corretto da essersi rifiutata, a partire dal 2009, di inviare i propri libri alla redazione Book Review del New York Times. Il libro si chiama “The Demon in Democracy: Totalitarian Temptations in Free Societies” e l’autore del saggio è Ryszard Legutko, provocatorio professore di Filosofia antica e Teoria politica all’Università Jagiellonian a Cracovia, ex ministro dell’Istruzione della Polonia e oggi parlamentare europeo nel gruppo dei Conservatori e Riformisti. La tesi del libro di Legutko – spesso criticato in Inghilterra per essere un po’ sopra le righe sulla questione dei diritti civili – su questo punto è semplice e lineare e offre una risposta convincente, seppur sintetica, a una questione cruciale dei nostri giorni: la trasformazione della libertà di espressione, del free speech, in un fenomeno molto pericoloso da combattere con forza per evitare di alimentare le grandi fobie della nostra èra (dall’islamofobia all’omofobia). La domanda da cui parte Legutko è interessante ed è simile a quella che su questo giornale si è posta qualche mese fa la grande scrittrice americana e di sinistra Camille Paglia: come è stato possibile che la società occidentale abbia permesso che il politicamente corretto uccidesse la libertà di espressione? Camille Paglia indirizza da tempo la sua critica verso una sinistra involontariamente stalinista che “invece di difendere il vibrante individualismo degli anni Sessanta ha messo in campo un docile golpe culturale nel nome dell’uguaglianza articolato con il linguaggio accondiscendente dei diritti”.

 

Ryszard Legutko indirizza invece la sua critica al tradimento delle élite europee e delle democrazie liberali, colpevoli di non aver contrasto a sufficienza la nascita di un mostro culturale chiamato “egualitarismo”. Secondo Legutko, ed è questa la tesi affascinante del suo libro, le democrazie liberali stanno soccombendo a un nuovo ideale utopico in cui l’individualità e l’eccentricità sono destinate a essere progressivamente vietate e in cui il politicamente corretto è destinato a spingere le società liberali verso una monocultura in cui il dissenso non viene tollerato e in cui si va via via innescando “un potente meccanismo unificante in cui le élite impongono uniformità di vedute, di comportamenti e di linguaggi in nome di un interesse superiore”. Negli anni Ottanta, in Polonia, Legutko ha visto con i propri occhi il dispotismo comunista e sempre in quegli anni ha lottato contro il totalitarismo comunista scrivendo su un famoso trimestrale di dissidenti polacchi (Arka). Alla luce di quell’esperienza, il filosofo polacco fa un passo ulteriore per descrivere il senso delle “Totalitarian temptations in free societies”. Secondo Legutko, egualitarismo e dispotismo non si escludono affatto e hanno anzi alcuni pericolosi punti di contatto: l’idea di rendere tutti i pezzi della società uguali l’uno all’altro, l’idea di eliminare ogni potenziale minaccia per la parità in tutti i settori della società e in ogni aspetto della vita umana, l’idea che in nome di un principio più alto sia giusto annullare le proprie differenze, la propria fede, la propria tradizione, per omologarsi al pensiero dominante. In estrema sintesi la domanda è questa: è accettabile oppure no considerare l’uguaglianza il punto di arrivo e non il punto di partenza di una società moderna? Ed è possibile stravolgere il concetto di uguaglianza arrivando a sostenere che il concetto di “parità di opportunità” sia da sostituire al concetto di “parità di risultati”?

 

Pensate, dice Legutko, al principio dell’affirmative action: “Un tempo l’affirmative action prevedeva un concetto: sei favorito a entrare in università, per esempio, se sei nero. Oggi lo stesso principio è diventato uno strumento di giustizia sociale che richiede interventi coercitivi del potere statale: così il liberalismo è stato capovolto”. Ovviamente Legutko sa bene che la democrazia liberale è un sistema che consente una libertà che nessun regime totalitario può permettere (l’Iran non è come l’America, la Turchia non è come il Regno Unito, il Pakistan non è come la Germania) ma giocando sul filo del paradosso centra un punto importante: la reazione al politicamente corretto, e in particolare all’egualitarismo, oggi è l’unica soluzione naturale per proteggere la libertà dell’individuo. Non cedere al dèmone dell’uguaglianza è l’unico modo per sfuggire alle nuove tentazioni totalitarie. Perché la dittatura del proletariato, ricorda il filosofo polacco, può abolire le classi, ma la dittatura dell’uguaglianza può fare qualcosa persino di più grave: abolire le nostre anime.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.