"Prima il programma, poi il leader". Calderoli apre a Parisi (ma non troppo)
No al referendum, elezioni anticipate con un programma comune di centrodestra ed un’assemblea costituente che si occupi autonomamente di riscrivere la Carta mentre il governo si occupa di economia, lavoro, immigrazione ed Europa. A parlare al Foglio è Roberto Calderoli, vice presidente del Senato e responsabile organizzativo della Lega Nord, che in questo agosto di acque mosse nel centrodestra italiano dall’operazione-Parisi ripropone il modello dell’incontro di Parma a fine giugno. In quell’occasione il segretario della Lega Nord Matteo Salvini aprì i lavori per del “Cantiere” per la ricostruzione di un centrodestra, senza i simboli dei singoli partiti sul palco. “Prima il programma – dice Calderoli – In politica due più due non ha mai fatto quattro: l’effetto sommatoria è uno schema vecchio e oggi gli elettori rifiutano il vecchio”, evidenzia il senatore della Lega Nord, al quale già il termine “centrodestra” sembra stantio. “Dobbiamo ripartire dai programmi, dalle idee e non dalle semplici somme matematiche che già in passato hanno messo in difficoltà i nostri governi”.
Mancavano poche ore alla vestizione ufficiale di Stefano Parisi quale rigeneratore – perché a lui il termine “rottamazione” non piace – del centrodestra quando il 23 luglio scorso l’ex manager fu in quel di Treviglio, Bergamo, proprio assieme all’ex ministro leghista per parlare di riforme istituzionali e del referendum. Ad accoglierlo alla festa nazionale della Lega Lombarda c’era anche l’ex ministro Roberto Castelli, coordinatore del comitato per il No al referendum in provincia di Bergamo. “Mi aveva sorpreso il silenzio di Parisi sul referendum durante le scorse elezioni amministrative ma sono felice che ora abbia sposato le ragioni del no”, ricorda Calderoli che non nasconde qualche rammarico: “Forse una posizione netta sul no avrebbe potuto aiutarlo e farlo vincere a Milano”. E’ stato durante l’incontro di Treviglio che Parisi ha iniziato a colmare il gap con i militanti leghisti cenando assieme a loro su una lunga tavolata e a convincere i presenti con il suo deciso no al referendum.
Basta con i vecchi schemi, sostiene Calderoli che dice no al modello di Milano proposto da Parisi anche in ottica nazionale: “Quel modello ha già perso una volta. Se anche risultasse vincente nelle urne, la mancanza di un programma condiviso metterebbe a rischio la stabilità del governo. Serve ripartire dai programmi del 2001 e del 2006. Gli elettori ci accusano di aver fatto promesse che non siamo riusciti a mantenere. Sono arrabbiati con noi non perché non condividevano quei programmi ma perché non siamo stati in grado di realizzarli fino in fondo. Ci sono emergenze e problemi come l’economia, il lavoro, l’immigrazione e l’Europa dei popoli ai quali il nostro elettorato potenziale ci chiede di dare delle risposte”.
Calderoli alla manifestazione organizzata dal Centro Destra per il no al referendum costituzionale (foto LaPresse)
A dividere però il centrodestra sono i tempi dell’assemblea costituente proposta da Parisi sulle pagine di Repubblica: se dovesse vincere il no nelle urne meglio decidere prima assieme le regole del gioco e poi giocare, ha sostenuto l’ex direttore generale di Confindustria. Al contrario, Calderoli chiede le dimissioni del premier ed elezioni anticipate. “Il nuovo Parlamento potrà organizzare in sei mesi al massimo le elezioni per un’assemblea costituente su base proporzionale. I cento costituenti – continua Calderoli – non dovranno essere parlamentari né in quella legislatura né in quella successiva per tenerli lontani dalle pressioni dei partiti e avranno due anni di tempo per scrivere la nostra Costituzione che potrà essere successivamente giudicata dai cittadini tramite referendum. E mentre l’assemblea farà il suo, il Parlamento ed il governo eletti potranno occuparsi delle questioni economiche e di sicurezza”.
Calderoli ricorda la riforma costituzionale poi bocciata dal referendum del 2006. Un punto di partenza per scrivere la Carta e raccogliere le anime del centrodestra può essere infatti quella riforma “che prevedeva un vero superamento del bicameralismo paritario con la specializzazione dei due rami del parlamento senza raddoppi di costi e tempi, la riduzione del numero dei parlamentari e la ridistribuzione delle competenze tra stato e regioni, base per il federalismo fiscale. Dovremmo partire da lì – conclude il senatore – ma aggiornando il programma e ponendo le basi per le macroregioni affinché non esistano più regioni più piccole di certe province”.