Matteo Renzi (foto LaPresse)

Nemmeno se passa il “sì” al referendum Renzi è al sicuro. C'entra l'economia

Salvatore Merlo
I giornali francesi e spagnoli, adesso anche quelli americani, scrivono che il referendum sulle riforme istituzionali è un tornante della storia europea, più della Brexit. E da ieri in Italia, dove è già iniziata una campagna elettorale senza briglia, i sostenitori del “no” si esercitano in una ginnastica d’ironia.

Roma. I giornali francesi e spagnoli, adesso anche quelli americani, scrivono che il referendum sulle riforme istituzionali è un tornante della storia europea, più della Brexit. E da ieri in Italia, dove è già iniziata una campagna elettorale senza briglia, i sostenitori del “no” si esercitano in una ginnastica d’ironia. Spernacchiano le preoccupazioni americane e del mondo finanziario internazionale, quasi fossero propaganda di regime, come se in America ricevessero sms e veline da Filippo Sensi, il portavoce di Renzi: “Puzza l’allarme lanciato dal Wall Street Journal, dal New York Times e dal Financial Times”, ha detto il senatore leghista Paolo Arrigoni. E insomma trascinano i dubbi e i timori che arrivano dall’estero nella melassa turbolenta del nostro confronto pubblico nazionale, trattano il Wall Street Journal, il New York Times e il Financial Times – in altri casi esaltati con provinciale entusiasmo – con la stessa biliosa sufficienza con la quale in Italia i politici sono abituati a commentare le vicende della Rai lottizzata, come si trattasse di un servizio del Tg3 o della nuova pubblicità del programma di Gianluca Semprini: “Enorme preoccupazione anche di Charlie Brown e di Donald Duck”, ha tuittato persino il politologo Gianfranco Pasquino, sostenitore del “no”.

 

E sono allora gli effetti di una vittoria del “no”, con il loro carico di conseguenze indecifrabili, fosche e controverse, a essere sviscerati, oggetto di speculazioni e di contesa, d’interpretazioni spesso faziose. Ma se vince il “sì”, invece? Se vince il “sì”, che succede? “Non cambia molto. Il problema di Renzi è l’economia”, dice per esempio Antonio Polito, editorialista e vicedirettore del Corriere della Sera.  Ed è la stessa risposta che arriva anche dai corridoi di Palazzo Chigi, dove passeggiano e lavorano i consiglieri di Renzi: “Se passa il ‘no’ è il caos”, bisbigliano. “Con la vittoria del ‘sì’ avremo invece la tranquillità per occuparci di economia, che sarà la partita decisiva per l’Italia e per il risultato delle prossime elezioni”. E allora ecco il piano del governo, che diventerà più chiaro a ottobre, nei giorni in cui sarà presentata la legge di Stabilità: incentivi agli investimenti, soprattutto privati, ed elezioni che a questo punto forse si terranno nel 2018, a scadenza naturale della legislatura, perché, dicono a Palazzo Chigi, “la ripresa è lenta e il nostro interesse è avere tempo affinché i risultati delle cose che facciamo si possano cominciare a vedere”.

 

E insomma tutto uno scenario diverso da quello che sembrava delinearsi parecchi mesi fa, quando il referendum assumeva le sembianze di un vittorioso plebiscito sull’onda del quale Renzi avrebbe puntato alle elezioni anticipate. “La posta in gioco del referendum non è più quella che sembrava un anno fa”, dice anche Polito, “le elezioni dipenderanno dall’andamento dell’economia. E finora la politica economica del governo non è riuscita a smuovere il pachiderma italiano, nemmeno l’aumento della spesa pubblica ha avuto grandi effetti. Non sarà dunque la vittoria del ‘sì’ a spingere verso le elezioni, non in questa situazione. Può darsi semmai che, una volta vinto il referendum, a Renzi venga più facile intervenire sulla legge elettorale”.

 

E chissà che allora gli effetti di una vittoria del “sì” non riguardino il complesso dei rapporti di forza, politici e parlamentari, tra maggioranza e opposizione, tra Pd renzizzato e Pd resistenzialista. “Vediamo”, sorride Miguel Gotor, uno dei leader della minoranza Pd. “Se il ‘sì’ vince per una incollatura, è un conto. Se è una vittoria straripante, è tutto un altro paio di maniche”. E se il “sì” vincesse solo di un’incollatura? “Allora i nostri rapporti con Renzi dipenderanno dal Congresso, e dalla sua disponibilità sulla legge elettorale. In ogni caso la legislatura deve andare avanti. L’unica cosa certa è che da qui a fine novembre, quando si voterà il referendum, il dibattito non sarà di diritto costituzionale, ma sarà tutto sull’economia”. Ed è forse per questo che anche il New York Times ha scritto che Renzi, pur vincendo il referendum, potrebbe trovarsi nei guai.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.