L'antidoto ai forconi grillini
Sperare in Renzi sostenendo Parisi. Ci si potrebbe chiedere: scusate, ma che senso ha? Vediamo. C’è una maggioranza invisibile del paese che forse è meno motivata di un tempo ma che ancora oggi, con piglio trasversale, si augura che nei prossimi mesi accada una serie di cose importanti. Primo: che Matteo Renzi faccia una buona legge di Stabilità, con pochi fronzoli elettorali, molte azioni sistemiche, poche mance ai pensionati e robusti interventi sul fisco. Secondo: che il referendum costituzionale venga valutato per quello che è – cioè il voto su una riforma non perfetta che migliora un sistema imperfetto – e non venga votato per quello che rischia sempre più di rappresentare, ovvero uno schiaffo liberatorio verso Boschi e Renzi più che uno schiaffo ragionato verso la riforma Boschi-Renzi. Terzo: che una volta incassato il sì al referendum costituzionale ci si liberi rapidamente di questo Parlamento ingovernabile andando al galoppo verso sane e corrette elezioni anticipate. Quarto: che, a prescindere dal risultato referendario, possa nascere nel paese una forza matura di centrodestra che sappia ridimensionare la bambola gonfiabile del salvinismo, che possa riportare alle urne gli elettori di centrodestra delusi dal fallimentare centrodestra di governo, che sappia creare le condizioni per un’alternativa vera al centrosinistra renziano e che possa essere competitivo con il Pd sia in caso di elezioni sia in caso di prolungamento della legislatura.
Ci si può girare attorno quanto si vuole ma è un fatto che le stesse persone che si augurano che Renzi faccia una buona legge di Stabilità sognano anche che Stefano Parisi, o uno come lui, sappia fare una buona opposizione, potenzialmente di governo. Perché? Ci sono molte ragioni per spiegare questo fenomeno, non ultima quella di sperare che i due grandi poli tornino a essere competitivi, in modo da trascinare rapidamente l’icona del grillismo nella cartellina del “trash” della politica. Ma quella più importante è un’altra: la maggioranza silenziosa e trasversale del paese che oggi sostiene Renzi non è interessata al fatto che sia Renzi a cambiare il paese, ma è interessata al fatto che ci sia qualcuno disposto a combattere fino in fondo per arginare il grillismo, salvarsi dal lepenismo, non cedere al civatismo, combattere il trumpismo, non rassegnarsi al cialtronismo qualunquista e, soprattutto, regalare all’Italia le riforme che servono per liberarci definitivamente dai dèmoni di ritorno del neo protezionismo e del neo anti capitalismo. L’Italia riuscirà a resistere alla tentazione di consegnarsi a un qualche ridicolo forcone grillino solo a condizione che vi siano due poli, uno di centrodestra e uno di centrosinistra, intenzionati a non inseguire la retorica a cinque stelle (il salvinismo e il civatismo sono i migliori alleati del grillismo) e desiderosi di dar vita a due grandi partiti della nazione: ciascuno con prospettive e visioni diverse ma capaci entrambi di comprendere un concetto semplice e lineare, ovvero che i paesi che si aprono al mercato crescono mentre i paesi che resistono alle aperture del mercato arretrano.
Da questo punto di vista, si può dire che il renzismo funziona solo nella misura in cui non risulta su nessun tema sovrapponibile al grillismo, riuscendo contemporaneamente ad attrarre sotto il suo ombrello quella minoranza apoliticizzata del paese che sogna da anni (chiamiamola ancora così) una rivoluzione liberale. Senza questa minoranza invisibile, che coincide poi con il cuore produttivo del paese, il renzismo non esiste, il Pd si trasforma in una Spd, o se volete in un ex Pd, e, senza spezzare le catene della sinistra, rischia di fare la fine di tutti gli altri partiti di sinistra d’Europa (Tsipras annaspa, Hollande affonda, Corbyn sprofonda, Sánchez non pervenuto, l’Spd, come ricordato ieri da Tony Barber sul Financial Times, alle elezioni politiche del prossimo anno potrebbe registrare un risultato ancora più basso dei minimi raggiunti nel 2009). Per non rincorrere il grillismo, anche se può apparire paradossale, al Pd serve però una competizione vera. Serve un centrodestra tosto, maturo, demelonizzato, desalvinizzato, capace di muoversi su due fronti: mettere alla prova Renzi sull’agenda economica di governo, archiviando la retorica dell’emergenza che prevede di trasformare Renzi in un mix tra Mussolini ed Erdogan; e trasformarsi in un approdo sicuro per la maggioranza silenziosa del paese, nel caso in cui il progetto renziano dovesse naufragare (da segnalare in questi giorni il buon rapporto che si è venuto a creare tra Stefano Parisi e Urbano Cairo, Marco Tronchetti Provera, Claudio De Albertis, Gianfelice Rocca e Alberto Vacchi). Sperare in Renzi sostenendo Parisi non è una contraddizione ma è l’unica possibilità concreta che ha oggi il nostro paese per trascinare rapidamente l’icona dei forconi grillini nel cestino della storia.