Difficoltà materiali e dissidi interni. I Radicali a rischio introversione
Roma. “Da Ventotene a Rebibbia” è il titolo del 40° congresso straordinario del Partito radicale transnazionale che si tiene da oggi fino a sabato nel carcere romano. “Ventotene perché noi oggi siamo l’unica alternativa all’Europa delle burocrazie, l’unica alternativa all’Europa intergovernamentale che sta portando alla crescita dei populisti alla Salvini e alla Grillo, e anche l’unica alternativa ai Salvini e ai Grillo”, dice al Foglio Maurizio Turco, tesoriere del Partito radicale transnazionale (Prt), considerato il leader del gruppo di fedelissimi cui Marco Pannella avrebbe consegnato le eredità patrimoniali più importanti. Dalla storica sede di Torre Argentina a Radio Radicale. “Rebibbia perché resta irrisolto il tema dello stato di diritto in un paese dove la Giustizia è ingiusta”. Quasi un riconoscimento per il fatto che il 95 per cento delle corone arrivate al funerale di Pannella siano giunte da carcerati.
Ma Rebibbia non sarà soltanto una commemorazione, si spera. Effettivamente un fermento interno non manca, a partire dal dibattito sul metodo stesso di convocazione di questo appuntamento. Riccardo Magi è il segretario di Radicali Italiani, associazione costituente del Partito radicale transnazionale, e al Foglio dice: “Se vediamo i modi e i tempi di convocazione di questo congresso, si ha l’impressione di un congresso di chiusura, e anche di chiusura frettolosa. Convocato con poco preavviso, e anche forte limitazione di accesso proprio per il fatto che si tiene in un carcere”. Magi non contesta la grande opportunità simbolica di iniziare da lì, ma ricorda che “Radicali Italiani ha proposto formalmente che questa di Rebibbia diventasse la prima sessione. Piuttosto che di un congresso frettoloso ci sarebbe bisogno di un periodo ragionevole di confronto per aggiornare le analisi e soprattutto capire in che modo sia possibile fare oggi un Partito transazionale, di fronte alla crisi delle democrazie e alla montata dei nazionalisti”.
Turco insiste sul fatto che ci fosse un problema organizzativo gravissimo: “Era necessario fare il punto sulla situazione complessiva, a maggior ragione in assenza di Marco. E anche a maggior ragione sul contesto esterno, nel momento in cui ormai il Partito radicale è sparito dalla cognizione pubblica, dalla conoscenza pubblica. Non esiste neanche più il fatto che esiste il Partito radicale. Quindi si dovranno fare delle scelte. Ormai abbiamo licenziato tutto il personale. Diciamo che non c’è un’attività politica propria, e sarà oggetto di dibattito congressuale. Porterò il bilancio come è oggi, sostanzialmente con un milione di euro di debiti”. Turco ammette che al limite si potrebbe arrivare ad accogliere la richiesta di Angelo Bandinelli, esponente storico dei Radicali che ha ipotizzato perfino una chiusura del partito. Chiusura che però non riguarderebbe Radio Radicale e eventuali fondazioni legate all’eredità morale di Pannella, consentendo dunque di blindare il controllo su quel che resta dell’eredità radicale. Ai Radicali Italiani è al contrario attribuita l’intenzione di abbandonare l’approccio transnazionale che caratterizza il partito dal 1988, per tornare in pieno nel gioco politico nazionale con la nuova etichetta di Radicali, tourt court. “Se ci sono stati dei problemi nell’attività del Prt, ed è indubbio che vi sono stati, allora sarebbe il caso di interrogarsi sull’opportunità di mantenere questo strumento”, replica Magi, ricordando peraltro che i Radicali Italiani agiscono a loro volta in campo transnazionale: dalle campagne antiproibizioniste a quelle sull’immigrazione, passando per la partecipazione all’Alde e all’Internazionale Liberale.
A rendere più complesso il quadro del confronto interno ai Radicali, a Rebibbia ci sarà anche Giovanni Negri, ex-segretario che poi ha lasciato la politica e che oggi produce vino e libri di narrativa. Adesso sta promuovendo il lancio di un nuovo soggetto politico, la Marianna, che terrà la sua prima convenzione nazionale a Roma il 17 e 18 settembre. Negri si è schierato con decisione a favore del “sì” al referendum costituzionale di novembre: una posizione che si contrappone a quelle per ora interlocutorie sia di Turco, per il quale la prima riforma necessaria dovrebbe essere la legge sulla democraticità dei partiti, sia di Magi, secondo cui il rafforzamento dell’esecutivo dovrebbe essere bilanciato con un rafforzamento dello strumento referendario. Deplorando “una situazione di scontro con una violenza senza precedenti all’interno del mondo radicale” e sospettato di voler fare un’Opa sul partito, Negri giura che in realtà vuole proprio il contrario: “Sono i Radicali che possono fare un’Opa su Marianna, uno strumento nuovo rispetto a destra e sinistra, per affrontare il grillismo che è il vero problema”. Negri predilige la politica nazionale ma conviene con Turco sull’idea che l’etichetta “radicale” non debba più essere usata alle elezioni, dunque potrebbe arrivare con lui a un patto di non aggressione. Per fare cosa del Prt? E con quali interlocuzioni politiche? Qualcuno dovrà pur raccontarlo al congresso di Rebibbia.