Marcello Minenna, ex assessore al Bilancio di Roma (foto LaPresse)

Cosa c'entra la giostra di potere delle partecipate con la crisi dei 5 stelle a Roma

Mario Sechi
Storia della manovra finale di Raggi contro l’opa sulle società romane lanciata dall’ex assessore al Bilancio – di Mario Sechi

Roma. Follow the money, segui i soldi. La crisi della giunta Raggi è il sequel burino del Watergate? No, ma seguire la scia dei soldi a Roma è necessario per capire le ragioni dell’ascesa e della caduta dei potenti. Dove sono i soldi a Roma? Nel mattone e nelle società partecipate. Il mattone i grillini non l’hanno neppure mosso (tranne in un caso, come vedremo) ma le società partecipate sì, con esiti disastrosi. Le dimissioni dell’assessore al Bilancio Marcello Minenna, del capo di gabinetto Carla Romana Raineri e dei vertici di Ama e Atac una sorgente e una foce, sono un fiume carsico che esplode all’esterno il 1° settembre. Seguiamone il percorso. Trattenete il respiro, si va sott’acqua, nel fondo romano dell’abisso a 5 stelle. Raggi si insedia in Campidoglio il 7 luglio. Da quel momento la giunta licenzia 28 delibere. In luglio non succede nulla di rilevante sul piano amministrativo –  la prima delibera fissa la multa (400 euro) per i velocipedi e i centurioni – ma il 3 agosto si affacciano alla porta del sindaco i veri problemi della capitale: il 3 agosto la giunta si riunisce per dare l’assenso alla manovra di finanziamento di Atac. La società dei trasporti ha un debito residuo con le banche di 167 milioni di euro, non si sono verificate le condizioni per l’estensione del finanziamento, ma le banche di fronte a un nuovo piano industriale sono pronte a prorogare il contratto fino al 3 dicembre 2019.

 

La giunta approva. Ma scopre subito di non avere tutti i margini di manovra politica che immaginava: le aziende hanno una loro autonomia, i manager insediati dal commissario Tronca sanno il fatto loro, il direttore generale di Atac, Marco Rettighieri, è uno tosto, serio, sempre sul pezzo, che vuol far marciare l’azienda senza sottostare ai diktat dei sindacati e si tiene a distanza di sicurezza dal Boa Constrictor della politica romana. La Raggi in quel momento non ha ancora completato la sua squadra, ma l’assessore al Bilancio Minenna è già carico a molla e lavora a un piano di riordino delle società partecipate. Il giorno dopo, il 4 agosto, si sente puzza di monnezza, è il turno di Ama: l’intero consiglio di amministrazione si è dimesso, bisogna nominare l’amministratore unico e l’assessore Minenna piazza un suo amico: Alessandro Solidoro, bocconiano (come Minenna), presidente dell’Ordine dei commercialisti di Milano, persona di indubbio valore. In Campidoglio c’è chi candidamente si chiede: ma che davero? pijamo uno de’ Milano pe’ raccatta’ la monnezza a Roma? Dietro il folklore romanesco, tra er cavaliere nero di Gigi Proietti e le stornellate di Lando Fiorini, comincia ad agitarsi un dubbio pentastellato: comanda la Raggi o l’assessore al Bilancio? Dilemmi che crescono quando a un certo punto appare chiaro che Virgi non tocca palla. E nel movimento comincia a farsi largo la strofa della canzone di Alberto Sordi: te c’hanno mai mannato… a quer paese.

 

Trascorrono 24 ore e l’occasione per la pedatona dell’Albertone nazionale arriva con l’adozione in giunta della delibera numero 14, seduta del 5 agosto. Titolo: “Instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato con il Cons. Carla Romana Raineri, per lo svolgimento dell'incarico di ‘Capo di Gabinetto’ dell’On.le Sindaca, Virginia Raggi”. L’onorevole sindaca concede “un compenso annuo lordo complessivo pari ad Euro 193.000,00, incrementato da una indennità ad personam, in considerazione della particolare complessità, rilevanza e gravosità delle mansioni da svolgere che presuppongono speciali competenze tecnico-giuridiche, profonda conoscenza delle normative di riferimento, notevole esperienza ed indiscussa professionalità, in relazione, nonché, all’impegno connesso all’incarico da svolgere come Capo di Gabinetto ed in considerazione della permanenza fuori ruolo e senza assegni”. Di nuovo: ma che davero? La Raggi in un colpo solo assume per chiamata diretta un tecnico, esterno al giro dei grillini, e fa secco l’aspirante al posto, quel Raffaele Marra già alemanniano, fu polveriniano e via cambiando fino alla versione riverniciata del pentastellato de destra. Virgi va in testacoda, Minenna rafforza il suo potere dentro la giunta, è il super assessore con poteri illimitati sul portafoglio e via Raineri ha la sua longa manus dentro il gabinetto del sindaco che redige e controlla gli atti finali dell’amministrazione. La ribellione è in corso, il direttorio non sa che fare, l’ala romana è out, Grillo è sullo yacht, Dibba è in motorino e Di Maio lascia fare perché aspira a Palazzo Chigi e non vuol pestare i piedi a nessuno, meglio andare in sartoria, se qualcuno dovrà farsi male, quel qualcuno sarà Virgi.

 

La base 5stelle è idrofoba per il compenso, i giornali ci inzuppano il biscotto, la sindaca sul ring è in bambola (termine preso dal gergo della boxe, per esser chiari). Nel frattempo Minenna fa i suoi piani, ha in mano il conto del comune, sa che deve farli quadrare e la situazione è tutt’altro che allegra. Dal 5 al 9 agosto la giunta Raggi sforna delibere a raffica per nominare questo e quello nei vari assessorati, è la classica infornata dei necessari sottopanza, niente di nuovo, i grillini incassano il dividendo politico, si preparano a governare. Ma chi comanda? Momenti di epico grillismo: l’11 agosto la giunta approva il progetto del Grab, il Grande Raccordo Anulare delle Biciclette. E vai, la giunta Raggi è su due ruote, ma il giorno dopo, il 12 agosto, si torna a ballare sui soldi, la ciccia vera, e la giunta approva una variazione del bilancio di previsione, dentro ci sono un po’ di pagliuzze contabili da sistemare e una grossa trave: un contributo all’Atac da 18 milioni per interventi di manutenzione straordinaria della linea A della metropolitana. Sono soldi ben spesi, ma vincolati a un monitoraggio e controllo che di fatto ledono l’autonomia del direttore generale dell’Atac. Rettighieri non risponde alla politica, ma alle regole del manager che vuole spezzare il nodo intricato tra il comune e i sindacati. Il regista dell’operazione è ancora Minenna che entra subito in rotta di collisione con Rettighieri sulla disponibilità del prestito. Sull’altro lato dell’amministrazione, in zona Raggi, succede l’incredibile: il dg riceve una richiesta di spostamento di personale dipendente da parte dell’assessorato ai Trasporti della capitale. Non siamo più alla partecipazione, ma alla gestione diretta da parte della politica. Rettighieri accusa di ingerenza, l’assessorato risponde che vuole “essere messo al corrente di eventuali spostamenti nell’organigramma aziendale”. Se non è zuppa, è pan bagnato. Le partecipate sono il campo di battaglia delle fazioni che si fronteggiano in giunta, Minenna concentra potere e non molla sulle sue idee di riassetto del Gruppo di aziende, Raggi & co. sono sensibili ai richiami dei sindacati, in campagna elettorale hanno lisciato il pelo ai dipendenti e assicurato gattopardescamente che tutto cambierà perché nulla in realtà cambi. In Campidoglio c’è aria di freni surriscaldati, l’autoscontro è vicino.

 

Passa Ferragosto, il 18 agosto la giunta delibera la nomina di un nuovo direttore generale all’Ama. La raccolta dei rifiuti in città è un disastro, si è tentata l’operazione immagine ripulendo durante Ferragosto e postando le immagini sui social, ma le vacanze stanno finendo, tra un po’ i romani rientreranno dalle ferie e si prepara il festival dei sorci nei cassonetti. Minenna piazza un altro suo uomo, stavolta in compartecipazione con l’assessore Muraro (finita nella bufera per le consulenze all’Ama). La mossa mette l’amministratore unico di Ama, Stefano Solidoro, nominato solo qualche settimana prima (il 4 agosto) in una situazione imbarazzante. Chi comanda? Il dominus è Minenna, ma il sindaco è sempre più sotto pressione, un enigma vivente che nasconde il nulla dietro il sorriso, sempre più tirato. L’assessore al Bilancio va avanti come un rullo compressore, le società partecipate diventano una giostra medievale a 5stelle. Il 24 agosto Minenna parte alla carica, ha in tasca uno schema di riassetto complessivo delle aziende, il modello è quello già operativo con Ama e Atac, via il consiglio, gestione affidata a un amministratore unico e un direttore generale, riguarda trenta società, in scadenza subito ci sono Aequa Roma, Zètema, Roma Metropolitane, Roma Servizi per la Mobilità, Risorse per Roma Spa. Minenna ha lavorato al provvedimento insieme al capo di gabinetto Carla Romana Raineri, tutto è pronto, ma il 24 agosto la giunta non approva il disegno della nuova governance delle partecipate. Stop. Minenna va sotto. La Raineri barcolla. Il giochino pentastellato s’è rotto, nell’ingranaggio c’è un sasso che blocca tutto, è il patatrac della giunta, è la guerra sulle partecipate di Roma Capitale. L’Anac il 31 agosto cala la scure sulla nomina della Raineri, la Raggi sospira, si libera di un suo errore politico (la Raineri obbedisce alla legge, non alla politica) e la spinge giù dalla torre (ma lei si è dimessa prima e le ragioni prima o poi saranno chiare), Minenna capisce che non è aria, il bersaglio è lui e si dimette, con lui escono anche i vertici di Ama e Atac. L’amministrazione capitolina è decimata, piovono curricula di aspiranti assessori e candidature di nuovi manager. Raggi convoca una riunione della giunta in Campidoglio, bisogna rifare tutto. Il gioco dell’oca degli assessori e delle società partecipate riprenderà presto. Asso. Picche. E’ il poker dei 5stelle. Di Maio sospira: “E’ Virginia, il sindaco…”. Cadrà lei, non lui.