Beppe Grillo (foto LaPresse)

Il morbo dell'anti politica e i suoi orrori

Claudio Cerasa
Una volta messa da parte la spassosa e misera cronaca romana di questi giorni, una volta messa da parte la guerra di correnti che ha mandato in tilt il server grillino bisognerà fermarsi un attimo, mettere da parte i popcorn e chiedersi quand’è che è cominciato tutto: quand’è che in Italia abbiamo cominciato a parlare del nulla.

Una volta messa da parte la spassosa e misera cronaca romana di questi giorni – in cui giovani candidati premier, convinti di poter risollevare le sorti dell’Italia facendo leva su un esercito di webeti specializzato nel bastonare avversari a colpi di tweet, scoprono di non saper leggere una email arrivata sulla propria casella di posta elettronica – una volta messa da parte la guerra di correnti che ha mandato in tilt il server grillino bisognerà fermarsi un attimo, mettere da parte i popcorn e chiedersi quand’è che è cominciato tutto: quand’è che in Italia abbiamo cominciato a parlare del nulla. Il nulla, in questo caso, non è la decomposizione del grillismo. Il nulla, in questo caso, è l’oggetto stesso della crisi del grillismo. Fermatevi un attimo e provate a riflettere. Com’è possibile che da giorni si discuta con passione sull’opportunità che un assessore debba dimettersi per un’indagine a suo carico? E com’è possibile che tutta la discussione si concentri sul fatto che l’assessore non si sia ancora dimesso (vergogna, o-ne-stà!) e non sul fatto che forse (forse) sia una follia considerare un avviso di garanzia una macchia così grave da essere mediaticamente equivalente a una  condanna definitiva? In questi giorni molti commentatori hanno sculacciato il 5 stelle per aver tradito i propri sacri princìpi (“Non sono a favore della presunzione d’innocenza per i politici: se uno è indagato, deve lasciare, lo chiedono gli elettori”, Di Maio, Libero, 21 dicembre 2015), ma in pochi si sono occupati di andare alla radice di un problema più profondo di cui il M5s rappresenta la punta di un iceberg.

 

Proviamo a dire le cose come stanno. Se siamo arrivati a parlare del nulla, se in questo caso specifico siamo arrivati a dire sostanzialmente ai grillini vergognatevi per non aver fatto ancora dimettere il vostro assessore indagato, la ragione va ricercata nei sintomi di una malattia che colpisce da anni il sistema immunitario del nostro paese: il morbo dell’anti politica. Il morbo dell’anti politica non nasce con Grillo – il M5s, semmai, è solo l’utilizzatore finale degli effetti generati dalla malattia sulle nostre coscienze  – ma nasce grazie alla complicità di un sistema politico e mediatico che negli ultimi vent’anni non ha perso occasione per trasformare i temi fuffa dell’anti politica (la trasparenza, le auto blu, le poltrone) in una strategica priorità del paese. E la saldatura tra l’ossessione anti casta (chissà se al Corriere ne avranno mai sentito parlare) e la barbarie giustizialista (chissà se a Repubblica ne avranno mai sentito parlare) ha avuto un doppio effetto. Da un lato ha trasformato in una priorità della politica la forma più che la sostanza (a Roma si parla molto di onestà, di telefonate con Buzzi, si parla meno di efficienza e di disavanzo strutturale). Dall’altro ha educato l’opinione pubblica a considerare automaticamente “casta” – termine all’occorrenza sostituito dai grillini con la parola “lobby” o “mafia” – chiunque abbia la sventura di avvicinarsi ai luoghi di potere (concetto sintetizzato tre anni fa da Beppe Grillo quando con grande senso dell’umorismo ricordò ad al Qaida le coordinate geografiche per colpire il Parlamento italiano). Se sei al governo, diventi casta. Se non sei trasparente, diventi lobby. Se sei indagato, diventi mafia. La retorica può funzionare se vuoi governare un’amministrazione di condominio (esperienza che sarebbe stata utile comunque a Virginia Raggi prima di arrivare in Campidoglio) ma funziona meno quando devi governare una città o quando vuoi ambire a governare un paese. Il punto vero, dunque, non è che i grillini hanno tradito i loro princìpi.

 

Il punto vero è che i princìpi grillini sono sotto molti punti di vista incompatibili con i princìpi di governo. Non perché i costi della politica non siano importanti e non perché non sia importante essere onesti. Ma perché il morbo dell’anti politica ha contribuito a far emergere una classe dirigente che ha trasformato in priorità la forma (e a volte la fuffa) più della sostanza (ovvero l’efficienza). Le discussioni sul nulla, le chiacchiere sull’avviso di garanzia, la trasformazione di un’indagine in una sentenza di condanna definitiva, la sostituzione di un articolo della Costituzione (articolo 27: l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva) con una qualche sura del codice deontologico grillino, nascono anche da qui. Verrebbe voglia di suggerire ai grillini e ai loro ispiratori occulti un bel libro uscito qualche tempo fa in Francia con la casa editrice Fayard. Gli autori sono Daniel Cohn-Bendit ed Hervé Algalarrondo. Il libro si intitola: “Et si on arrêtait les conneries”. In italiano suona più o meno così: “E se la finissimo di sparare cazzate?”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.