Dare i numeri, nuovo sport nazionale
Roma. “Ma come parla?! Le parole sono importanti!”, urla Nanni Moretti in “Palombella Rossa”. Più importanti delle parole però sono i numeri, che nella società attuale sono la base su cui si innestano i discorsi e le proposte politiche dei partiti e delle parti sociali. Se quindi le parole sono importanti, i numeri sono fondamentali. Ciò non vuol dire che cifre corrette mettano d’accordo tutti con la loro oggettività, anzi. Basta guardare i dati appena diffusi dall’Istat, che segnano un aumento dell’occupazione di 439 mila unità rispetto all’anno precedente, una riduzione della disoccupazione di 109 mila unità e un calo degli inattivi. Per il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, “il Jobs Act funziona”; per le opposizioni i dati positivi sono peggiori rispetto agli altri paesi europei. In democrazia, il confronto e lo scontro sulle cifre e sulle tendenze sono fisiologici e anche auspicabili, ma per un dibattito sano è necessario partire da numeri affidabili. E purtroppo non è sempre così.
Non è il caso dei dati dell’Istat, sui quali non mancano le polemiche, ma di istituti che inquinano il dibattito pubblico con statistiche dubbie. Nei giorni scorsi l’Eurispes ha lanciato un allarmante rapporto, ripreso da tutti i principali quotidiani, in cui si afferma che in Italia il giro d’affari dell’usura è di almeno 82 miliardi di euro, pagati da 3 milioni di famiglie in difficoltà. Cifre mostruose: oltre il 5 per cento del pil e oltre il 12 per cento della popolazione. Ma non basta. L’Eurispes scrive addirittura che il calcolo del mercato dell’usura è “largamente approssimativo per difetto”, secondo le loro ipotesi potrebbe tranquillamente essere il doppio: 164 miliardi. Sono cifre talmente esorbitanti da non sembrare vere. E infatti non lo sono.
Per avere una pietra di paragone, basta considerare che secondo l’Istat tutto il pil criminale in Italia è pari a 16 miliardi e tutta l’evasione fiscale è pari a 90 miliardi. Quanto all’usura nessun istituto si spinge a fare proiezioni, proprio per la difficoltà di effettuare una stima verosimile. Prima dei numeri diffusi dall’Eurispes, che a quanto è dato di capire si basano su sondaggi, l’unico studio serio sul tema è stato fatto da Luigi Guiso, ora professore di Economia all’Einaudi Institute for Economics and Finance, ormai 20 anni fa per la Banca d’Italia, con il titolo “Quanto è grande il mercato dell’usura?”. Anche all’epoca venivano dati numeri a caso sull’usura e Guiso mise in piedi una metodologia controllabile che aveva lo scopo di fissare un limite alle invenzioni e riportare il dibattito su un piano di sensatezza. L’ipotesi era che chi si rivolge agli usurai passa prima in banca, quindi per definire il mercato e avere una stima ragionevole bisognava partire dal numero di famiglie a cui le banche rifiutano i prestiti.
Se portiamo a oggi quelle ipotesi, i dati della Banca d’Italia sul razionamento del credito ci dicono che negli ultimi 8 anni la quota di famiglie respinta agli sportelli bancari è circa l’1 per cento, ovvero 200 mila famiglie: un ordine di grandezza in meno rispetto ai 3 milioni dell’Eurispes. E se pure – per ampliare al massimo il mercato potenziale dell’usura – si aggiungono le famiglie scoraggiate a chiedere prestiti in banca, il totale arriva a circa 600 mila famiglie (anche se risulta difficile immaginare che una persona si rivolga agli strozzini prima che ai canali ufficiali). Una stima più recente, utilizzando la stessa metodologia di Guiso, è stata fatta da Attilio Scaglione (“Estimating the size of the loan sharking market in Italy”) e parla di 370 mila attività economiche coinvolte e un mercato di circa 18 miliardi, quasi 10 volte meno dell’ipotesi massima dell’Eurispes. Non si tratta del primo studio allarmista e sballato dell’Eurispes. Solo qualche mese fa l’“Istituto di ricerca degli italiani” guidato dal sociologo Gian Maria Fara scriveva nel “Rapporto Italia” che nel nostro paese ci sono 540 miliardi di economia sommersa (il 36 per cento del pil!), di cui circa 200 miliardi sono attività criminali (oltre il 13 per cento) e 270 miliardi evasione fiscale (il 18 per cento).
Pure i numeri sull’evasione erano gonfiati per essere sparati con titoli scandalistici sui giornali, cosa che poi puntualmente è avvenuta. Secondo l’Istat, il sommerso è circa 200 miliardi (meno della metà rispetto alla stima dell’Eurispes), il pil criminale vale 16 miliardi (12 volte meno) e l’evasione 90 miliardi (tre volte meno). Ma ciò che lasciava sbigottiti di quel “rapporto” spannometrico era che gli scienziati dell’Eurispes ricavavano l’evasione applicando una flat tax del 50 per cento a tutto il sommerso, tassando così anche i presunti 200 miliardi di pil criminale che, in quanto illegale, non può essere tassato.
Questi numeri al lotto non sono senza conseguenze, entrano nei circuiti informativi e inquinano il dibattito pubblico. Matteo Salvini, il leader della Lega nord, propone una riforma fiscale con una flat tax al 15 per cento basandosi proprio sui dati dell’Eurispes sull’evasione.
E il problema non riguarda solo la politica. Sempre Eurispes, con Coldiretti e sotto la supervisione scientifica del giudice Gian Carlo Caselli, nel rapporto Agromafie del 2015 aveva ipotizzato che la diffusione della Xylella in Salento fosse un complotto internazionale: “In questa storia paiono esserci tutti i presupposti di una guerra chimica o batteriologica”, diceva Fara. Sulla base di quelle elucubrazioni poco dopo la procura di Lecce sequestrò gli ulivi e aprì la famosa inchiesta sulla caccia agli untori. Per fortuna siamo abituati a strabuzzare gli occhi quando nella discussione pubblica ascoltiamo un congiuntivo sbagliato o una parola storpiata, ma purtroppo non abbiamo la stessa prontezza quando sono i dati a essere violentati. Servirebbe un remake di Nanni Moretti: “Ma come conta?! I numeri sono importanti!”.
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