Je t'aime... moi non plus
Dove porta (e che senso ha) la vecchia fiamma del Cav.: il proporzionale
Roma. Come quell’attore americano che raccontava di stare da così tanto tempo sulle scene di Hollywood da ricordarsi di quando “Doris Day non era ancora vergine”, così Silvio Berlusconi, buona memoria e giusta tolleranza, sa quanta e quale cavallina abbia corso in passato il sistema proporzionale: i pasticci, i trabocchetti, i franchi tiratori, l’instabilità parlamentare, e poi quella fama italiana d’essere il paese in cui i governi si cambiano all’incirca con la stessa frequenza dei rotoli di carta igienica. Sa tutto, il Cavaliere. Ma cosa mai importa? “Giudico interessante, comunque da approfondire, la proposta dei Cinque stelle sul proporzionale e le preferenze”, ha detto giovedì ad Arcore, riunita la sua corte attorno al tavolone della sala da pranzo, dopo i salatini e il sanbitter, dopo le intemerate di Renato Brunetta e dopo l’inevitabile supplica lamentosa e corale contro le ambizioni di Stefano Parisi.
Proporzionale, dunque, vecchio amore e vecchio pallino, sempre negato e sempre rinnovato. Nello schema berlusconiano, raccontano, ma chissà, come sempre c’è spazio per negoziare una specie di sistema tedesco, una legge elettorale che a Berlusconi non darebbe solo soddisfazione per la sua impazienza verso alleati scalpitanti, infidi e urlatori come Matteo Salvini (e pure Giorgia Meloni), ma che determinerebbe anche una situazione politica per lui integralmente nuova e aperta. In un sistema di rapporti di forza proporzionali tra i partiti, vincere e perdere diventa infatti un concetto relativo, e la posizione centrale di un partito della destra moderata, che si chiami Forza Italia o sia ribattezzato Per l’Italia, garantirebbe comunque lunga vita e larga influenza a chi ha voti sufficienti, cioè a Berlusconi in persona.
Si parla di uno stato d’animo, naturalmente, e non di una chiara strategia costruita su un calcolo preciso di modi e di tempi d’azione. Ma nel caso del Cavaliere gli stati d’animo e le inclinazioni personale sono di primaria importanza. Così adesso promette opposizione dura, “no” al referendum, dichiarazioni pubbliche e pugnaci comparsate televisive: s’attrezza a un negoziato sulla riforma elettorale. D’altra parte per ora si fa la guerra a Renzi, ma domani ci potrebbero essere governi composti in Parlamento e non nelle urne, e dunque dopodomani (dopo le elezioni che nessuno vince e nessuno perde) magari si fa di nuovo la pace con Renzi, o quasi. E insomma, visto da Arcore, l’intreccio sulla riforma elettorale diventa una camera delle meraviglie dove ogni cosa è possibile: un caleidoscopio di opportunità che passano da questa antica tentazione, da questo amore mai sopito nell’uomo che pure in Italia ha istituzionalizzato e incarnato il bipolarismo e la logica dell’alternanza.
Non che il Cavaliere non abbia sperimentato, istituzionalmente parlando, altre cotte: poteva essere il tentatore doppio turno alla francese, come quel super macho dell’uninominale secco. Ma poi è sempre alle grazie e ai capricci del proporzionale che, appena può, il Cavaliere torna: a capodanno del 2001 fidanzò la legge proporzionale con il premio di maggioranza, mentre ai tempi della Bicamerale la accasò con il cancellierato alla tedesca. E forse qualcuno ricorderà quando, nel 1996, all’ambasciata italiana di Francia, disse dolcemente: “Oui, je suis pour la proportionelle!”. Oppure quando, due anni dopo, cinguettò ancora con il proporzionale spiegando che, sondaggio alla mano, lo voleva lui e lo voleva il popolo. Dunque oggi, come allora, la tentazione è sempre la stessa: emanciparsi dalle costrizioni delle alleanze rimettendo a posto rivali insidiosi anche con numeri di grande circo. Quanto all’alternanza alla guida dello stato e al famoso diritto elettorale di scegliere il governo nelle urne, beh, si salvi chi può.