Maroni e Salvini, frontalieri rimbalzati
Il rischio, anzi il paradosso, è finire come il Roberto Bussenghi di “Frontaliers”, la serie di culto (almeno sui canali YouTube riservati ai popoli insubrici) trasmessa dalla tv della Svizzera italiana e composta da brevissimi sketch nei quali il simpatico transfrontaliero brianzolo ogni mattina è alle prese con le guardie di frontiera elvetiche. Lui la ama, la Svizzera, la invidia pure per la sua economia, ma in fondo li odia, gli svizzeri: deve lavorare per loro, immigrato di serie B per sempre. Le guardie di confine lo conoscono, l’italiano di frontiera Bussenghi, e lo odiano e basta: in fondo, viene a rubare lavoro. E ogni mattina gliene fanno di ogni per non farlo passare alla dogana.
Il rischio paradossale, politicamente parlando, riguarda la Lega. Dopo il referendum (non vincolante) con cui il Canton Ticino ha deciso di privilegiare l’assunzione nei posti di lavoro per gli svizzeri, togliendo spazio agli stranieri, il governatore lombardo Roberto Maroni è stato tra i primi a dichiararsi pronto a “contromisure” in sostegno dei lavoratori italiani (60 mila) che potrebbero in futuro perdere l’impiego. E per un partito come il suo, che ha sempre invocato il federalismo all’elvetica, e che oggi con Salvini fa della libertà dei popoli di chiudere le frontiere, del “noi prima”, uno dei suoi punti fermi ideologici, doversi spendere in sostegno del diritto dei propri cittadini a scavalcare le frontiere per motivi economici è un paradosso. Ma può trasformarsi anche in uno smacco politico, perché bisogna decidere quale Europa si vuole. Il realista Maroni sembra saperlo più del suo capo Salvini. Ma rischiano tutti e due di finire cornuti e mazziati, come il Bussenghi.