Appello contro il suicidio della destra
"Caro Berlusconi, ti voglio bene, come ti vogliono bene ancora milioni di elettori liberali sparpagliati in giro per l’Italia, ma arrivati a una certa età, e noi quell’età l’abbiamo raggiunta, non possiamo più raccontarci troppe frottole e dobbiamo dire le cose come stanno. E io te lo dico con il cuore, da uomo che ti ha seguito in tutto quello che hai fatto, da uomo che si è speso per costruire insieme con te un’Italia più moderna e se vuoi anche più libera. Te lo dico con sincerità: la battaglia sul referendum costituzionale che stai portando avanti non è solo un errore tattico ma è anche il tradimento di tutto quello che hai fatto e hai insegnato ai tuoi elettori durante la tua vita politica. Io mi ricordo di un movimento liberale, come Forza Italia, nato per riformare la Costituzione, per semplificare il sistema istituzionale del nostro paese, per superare il bicameralismo perfetto, e non capisco come sia possibile, per chi ha la nostra storia, ritrovarsi a condividere le stesse idee dei nostri nemici storici. Caro Silvio, ripensaci, sei ancora in tempo, non buttare via tutto quello che hai fatto”. Lo dice tutto d’un fiato Marcello Pera, filosofo, politico, ex presidente del Senato, ex senatore di Forza Italia e Popolo della libertà tra il 1996 e il 2013, e lo dice rivolto al fondatore del centrodestra italiano, Silvio Berlusconi.
Marcello Pera (foto dal suo sito personale http://www.marcellopera.it)
Qualche giorno fa Marcello Pera, insieme con Giuliano Urbani e un gruppo di liberali, ha inaugurato un comitato impegnato per il sostegno del “sì” alla riforma costituzionale e l’idea dell’ex presidente del Senato è quella di dimostrare che la riforma Renzi/Boschi non può non essere votata da chi per una vita si è speso per riformare la Costituzione italiana. “Il centrodestra di Silvio Berlusconi è nato anche per combattere quel grande fronte culturale che ha sempre difeso l’esistente e lo status quo con la scusa di non voler toccare la Costituzione più bella del mondo e le confesso che sono inorridito dall’idea che Forza Italia possa consigliare di leggere i libri di Marco Travaglio per capire come votare al referendum o possa condividere le tesi di Gustavo Zagrebelsky per orientarsi su come riformare la Costituzione. Quello che in Forza Italia in molti non vogliono capire è che con questa posizione, no, no, no, il centrodestra, e lo dico anche al mio amico Stefano Parisi, si sta mettendo nelle condizioni di perdere comunque andranno a finire le cose. Se vince il sì, Berlusconi avrà regalato forse per sempre un pezzo del suo elettorato a Matteo Renzi. Se vince il no, Berlusconi avrà probabilmente contribuito a regalare il paese al Movimento 5 stelle. La posizione in cui si trova Forza Italia oggi, chiusa in un angolo, è una posizione di subalternità rispetto a due forze politiche che un centrodestra liberale dovrebbe combattere”.
Continua Marcello Pera: “Qualcuno mi spiega che c’entra Berlusconi con il lepenismo di Salvini? Qualcuno mi spiega che c’entra Berlusconi con il qualunquismo di Grillo? Così facendo, chiuso in quell’angolo, il centrodestra si sta rassegnando a educare i suoi elettori con alcuni princìpi che in teoria dovrebbero essere incompatibili con la propria cultura di governo. Li sta educando a votare non su qualcosa ma contro qualcuno. Li sta educando a votare non sul merito ma su una persona. E a forza di far proprie le tesi di Travaglio, di Zagrebelsky e della minoranza del Pd – porca miseria, usano le stesse parole, come fanno a non rendersene conto! – li sta educando a diventare degli elettori grillini. Fermatevi, vi prego”. Nel 1998, ai tempi della Bicamerale D’Alema-Berlusconi, Marcello Pera partecipò ai lavori della commissione da responsabile del settore Giustizia e riesce a trattenere a stento un sorriso pensando che oggi sia D’Alema sia Berlusconi sono fieramente contro una riforma che contiene molti passaggi simili a quelli messi in campo nel 1998.
Silvio Berlusconi (foto LaPresse)
“D’Alema lo posso capire. Posso capire la sua disperazione. Posso capire che non sia mai riuscito ad accettare il fatto che un ragazzo di neanche quaranta anni ha portato via a lui e ai suoi compagni la gestione di un partito. Berlusconi invece proprio non lo capisco. E soprattutto non capisco come lui stesso non si renda conto che il centrodestra ha possibilità di competere se l’Italia adotta il modello Milano e ripudia il caos del modello Roma. Se vince il sì al referendum, il sistema istituzionale si semplifica e permette la competizione tra due grandi poli. Se vince il no al referendum, il paese resta bloccato come lo è oggi e quando c’è il caos la storia ci insegna che non sono i partiti di governo che ne riescono ad approfittare”.
All’ex presidente del Senato proponiamo un piccolo esperimento per provare a ragionare sui temi sollevati dal fronte del no. L’esperimento è questo: andiamo sul sito dei due più importanti comitati referendari e studiamo le ragioni del no. Proviamo? Proviamo. Sito numero uno promosso da Forza Italia: www.comitatoperilno.it. Presidente del comitato l’ex presidente della Corte costituzionale Francesco Amirante. Superato lo choc per la “libreria del no” suggerita dal comitato promosso da Forza Italia – “Marco Travaglio e Silvia Truzzi smontano ad una ad una le innumerevoli bugie che i riformatori spacciano da mesi a reti unificate e spiegano le ragioni del No in questo libretto di pronto intervento” – arriviamo al merito. Dieci ragioni per il no.
Ragione numero uno. Diciamo no “perché non si cambia la Costituzione con un colpo di mano di una finta maggioranza”. Risposta di Pera: “La Costituzione prevede che la Costituzione possa essere cambiata da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Gli amici del no non ci vorranno mica dire che non amano la Costituzione così com’è?”.
No numero due: “Perché quella italiana era la Costituzione di tutti”. Risposta di Pera: “Sarà di tutti attraverso il referendum, se vincerà il sì. A meno che Forza Italia non intenda con l’espressione ‘per tutti’ l’espressione ‘per noi medesimi’”. “No perché il referendum non potrà sanare né compensare un vizio di origine… la riforma è stata costruita per la sopravvivenza di un governo e di una maggioranza privi di qualsiasi legittimazione sostanziale”. Sorride Pera: “Fuffa. Questo no è la dimostrazione che la vera Opa su Forza Italia è stata fatta dalla minoranza del Pd. La giustizia sostanziale contro quella formale è un’affermazione senza senso. C’è una legge approvata in Parlamento da una maggioranza. Si vota su quella riforma. Non c’è nessun vizio d’origine. A meno che non si voglia dire che le regole previste dalla Costituzione per la riforma della Costituzione non funzionano: ma immagino che chi dice no alla riforma della Costituzione non voglia arrivare a dire che questa Costituzione non funziona, no?”.
No numero quattro: “Perché la Costituzione deve unire non dividere”. Dice Pera: “Vero. Infatti c’è una scelta referendaria per questo. La riforma passa se ottiene il 50 per cento più uno dei voti. Faccio notare che il tema della Costituzione che doveva unire tutti è un ritornello che sento dal 1948: dai tempi in cui i fascisti consideravano illegittima la nostra Costituzione per essere stati tenuti fuori dalla sua stesura. Deciderà il popolo, come prevede l’articolo 1 della Costituzione. Ma non penso che serva un ripasso anche per questo”. Quinto no, siamo a metà. “No perché il combinato disposto con la legge elettorale porta a un premierato assoluto”. Sorride ancora Pera. “E’ una balla. E dico purtroppo. A forza di usare gli argomenti di Zagrebelsky e Travaglio stiamo diventando come loro senza accorgerci non solo che la riforma della Costituzione non tocca i poteri del governo ma anche che il centrodestra in teoria è da sempre a favore del rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio. O ricordo male, caro Silvio?”.
No numero sei: “No perché saltano pesi e contrappesi”. Dice ancora Pera: “E’ un’altra sciocchezza. Sono rafforzate tutte le garanzie istituzionali. Oggi, per eleggere il presidente della Repubblica, dopo il quarto scrutinio, basta la maggioranza assoluta dei grandi elettori. Il testo della riforma prevede il quorum minimo, dal settimo scrutinio in poi, dei tre quinti dei votanti tra deputati e senatori. Stesso discorso per la Consulta: per eleggere ognuno dei cinque giudici scelti dal Parlamento (gli altri dieci restano come adesso, cinque nominati dal Quirinale e cinque espressione della magistratura) resta necessario il quorum minimo dei tre quinti dei membri delle due Camere. 630 deputati, sommati a 100 senatori, fanno 730 grandi elettori, dunque il quorum è 438 parlamentari. Il vincitore delle elezioni politiche avrà dalla sua 340 deputati, per arrivare a 438 dovrebbe avere con sé anche 98 senatori su 100. Lo stesso vale per il Csm. Per non parlare poi dell’introduzione del referendum propositivo. Andiamo avanti?
No numero sette, ne mancano tre: “Perché il nuovo Senato è solo un pasticcio”. Pausa di Pera: “C’è scritto davvero così? E’ questa una delle motivazioni del no che viene offerta da un ex presidente della Corte costituzionale? Santo cielo, che raffinata disamina nel merito. Posso evitare di rispondere, per non essere offensivo?”.
No numero otto: “No perché non funziona il riparto di competenze stato-regioni-autonomie locali”. “Sbagliato. Il riparto funziona ed è più preciso di prima. Spariscono le materie concorrenti. Vi è una rappresentanza dei territori migliore. Il consigliere regionale rappresenta così tanto il suo territorio a tal punto che non può restare in Senato se il suo Consiglio regionale cade. Mi sembra un’altra motivazione sballata. E poi?”. Numero nove: “No perché si sostituisce il centralismo al pluralismo e alla sussidiarietà e si crea inefficienza”. Pera: “Questa frase non ha senso…”.
No numero dieci: “No perché non si valorizza il principio di responsabilità. Lo stato attraverso la clausola di supremazia (una vera e propria clausola vampiro) potrebbe riaccentrare qualunque competenza regionale anche in regioni che si sono dimostrate più virtuose”. Pera: “Anche qui non c’è nessun filo logico. La clausola a tutela dell’unità giuridica ed economica è sacrosanta perché evita che il paese si spacchi ed esiste in tutti gli ordinamenti appena appena regionali. La riforma del Titolo V della sinistra si era sborniata di federalismo. Era quello il vampiro!”. Pera accetta di continuare con il nostro esperimento. Dal sito del no promosso dal centrodestra passiamo a quello promosso dal fronte più di sinistra. Capocordata Gustavo Zagrebelsky.
Gustavo Zagrebelsky (foto LaPresse)
No numero uno: La riforma non supera il bicameralismo: “Lo rende più confuso e crea conflitti di competenza tra stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato”. Pera: “Non è vero. Si modifica l’articolo V della Costituzione, secondo le indicazioni offerte dalla Corte costituzionale, e si diminuisce la conflittualità”.
No numero tre: la riforma non produce semplificazione perché “moltiplica fino a dieci i procedimenti legislativi e incrementa la confusione”. Pera: “E’ tecnicamente falso. I procedimenti legislativi sono tre. Primo: ordinario, ultima parola alla Camera. Secondo: paritario, leggi costituzionali e regole istituzionali, che sono poche e comunque elencate. Terzo: ultima parola alla Camera ma a maggioranza assoluta: per l’attuazione della clausola di supremazia dello stato sulle regioni”.
No numero quattro: la riforma non diminuisce i costi della politica, perché “i costi del Senato sono ridotti solo di un quinto e se il problema sono i costi perché non dimezzare i deputati della Camera?”. Pera con ironia: “Mi sembra un ottimo argomento. Aggiungerei, per elevare il livello del dibattito, che forse bisognerebbe ridurre i costi delle pensioni milionarie degli ex presidenti delle Corte costituzionale, specie quelli che lo sono stati per pochi mesi”.
No numero cinque: questa non è una riforma innovativa, “perché conserva e rafforza il potere centrale a danno delle autonomie, private di mezzi finanziari”. Pera: “Non è vero. Nella legge non si parla di mezzi finanziari. E’ un no che non ha senso, è basato sulla non lettura del testo ed è in contraddizione con il no numero uno: non si può sostenere contemporaneamente che la legge aumenta i conflitti di competenza tra stato e ragioni e poi dire che invece rafforza il potere centrale a danno delle autonomie. O l’una o l’altra”.
No numero sei: la riforma non amplia la partecipazione diretta da parte dei cittadini. Falso, dice Pera: “Oggi i disegni di legge di iniziativa popolare sono presentati al presidente di Camera e Senato il quale poi li gira a una commissione competente che di solito non combina nulla. Con la riforma i disegni di legge di iniziativa popolare devono essere obbligatoriamente discussi e portati al voto”.
No numero sette: non è una riforma chiara e comprensibile perché “è scritta in modo da non essere compresa”. Pera: “Davvero dicono così?”. Giuro. “Con il noto acume del professor Zagrebelsky mi sarei aspettato una conoscenza almeno basilare della grammatica italiana”.
No numero otto: non è una riforma legittima perché “è stata prodotta da un Parlamento eletto con una legge elettorale (Porcellum) dichiarata incostituzionale”. Pera: “Da un professionista non fazioso del diritto come il professor Zagrebelsky mi sarei aspettato qualcosa di più. Per esempio che non ripetesse a memoria la favoletta grillina che questo Parlamento è incostituzionale. Gli segnalo il punto numero sette della sentenza della Consulta del primo gennaio 2014: “Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti. Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali”.
No numero nove: questa legge non è il frutto della volontà autonoma del Parlamento, “perché è stata scritta sotto dettatura del governo”. Pera: “Falso. E’ una riforma voluta dalla maggioranza di governo ma nel voto finale ci sono 70 senatori non del Pd che hanno votato questa riforma. In tutte le votazioni, anche quelle finali, la percentuale di voti ottenuta dalla maggioranza è stata tra il 56 e il 58 per cento dei presenti in Aula. Per non parlare poi di tutti gli emendamenti accolti durante l’iter parlamentare. Persino troppi”.
No numero dieci: questa riforma non garantisce la sovranità popolare, “perché insieme alla nuova legge elettorale già approvata espropria la sovranità al popolo e la consegna a una minoranza parlamentare che solo grazie al premio di maggioranza si impossessa di tutti i poteri”. Pera: “Non si vota sul combinato disposto, si vota sulla riforma costituzionale. E’ esagerato dire che si espropria la sovranità popolare. A meno che non si consideri più salutare per la rappresentazione della sovranità popolare una legge elettorale proporzionale che dà al presidente della Repubblica e non agli elettori i veri poteri per formare un governo”.
Pera prende fiato, sorride e conclude. “Forse Berlusconi non se ne rende conto ma il centrodestra che oggi sostiene la riforma costituzionale che Forza Italia sta combattendo sta facendo un regalo a Berlusconi: gli sta consentendo di dare un futuro al suo partito politico e di non regalare il paese ai professionisti del qualunquismo. Il mio è un appello a Berlusconi ma anche alle altre forze politiche che oggi non rinnegano la propria matrice liberale e di centrodestra: Ncd, Scelta Civica, Ala. Pensateci bene: con la vittoria del sì non c’è solo Renzi, ma c’è anche la possibilità di dar vita a una nuova aggregazione politica di centrodestra con una forte cultura di governo. Sono certo che primo o poi lo capirà anche il Cavaliere. Buon compleanno Silvio”.