Fatta (con ritardo) la giunta, ora Raggi si dia una mossa
La giunta Raggi è ormai al completo, manca ancora il Ragioniere generale che si è appena dimesso ma c’è l’assessore al Bilancio e il responsabile delle partecipate, altro posto chiave, imprenditore di Treviso amico dello scomparso Casaleggio. Resta il problema dell’assessora ai Rifiuti Muraro sempre sotto scacco della magistratura.
Virginia Raggi comunque può cominciare a sorridere e non solo ogni volta che è a favore di telecamera. Deve però trottare, far votare delibere, prendere decisioni: i romani e non solo vogliono capire dove intende portare la Capitale, quale visione hanno i nuovi amministratori. Devono far dimenticare la figuraccia del no ideologico ai Giochi olimpici e la brutta sortita del vice sindaco Frongia (voto 4) che ha accusato il governo di avere abbandonato la candidatura di Roma per i Mondiali di rugby del 2023: dire no ai cantieri per i giochi e sì a quelli per la palla ovale, anche se meno invasivi, non è proprio il massimo della coerenza. Quella del governo non è ripicca, la ristrutturazione dei 13 stadi del Mondiale di rugby era legata al torneo olimpico di calcio nel 2024.
Ossessionati dai cosiddetti poteri forti, nei suoi primi passi la giunta si è schierata a difesa dei poteri piccoli: piccoli commercianti, centurioni, ambulanti, gelatai, carrettieri, paninari, kebabbari, tassinari, lavoratori Ama e Atac e relativi sindacati. Il peggio della composizione sociale di Roma, quella interstiziale, corporativa e truffaldina.
COMUNQUE RAGGI…
Ad ogni modo al termine della settimana in cui il capo comico si è autoproclamato Elevato come Alto Passero, le sindache stellate hanno sorpreso: l’Appendino (voto 8) e con più forza la Raggi (voto 9) hanno bocciato l’ideologia delle quote di genere, sono una riserva per panda, ha detto la sindaca di Roma. Sono anche contro l’obbligo di votare due candidati in lista un uomo e una donna.
Il tema è marginale ma la presa di posizione chiara e netta. Autorevoli commentatori le hanno bacchettate ma chiunque diffidi del politicamente corretto non può non essere d’accordo con loro e provare fastidio quando parla la prevedibile, stucchevole Boldrini (voto 3).
GUSTAVO ASFALTATO
Nell'atteso faccia a faccia tra il presidente del Consiglio e Gustavo Zagrebelsky, si è sancita definitivamente l'inutilità politica e culturale dell'azionismo. L'emerito costituzionalista ha definito la sua idea di democrazia: senza capi, senza vincitori nè vinti e basata su un confronto permanente sociale e politico tra maggioranza e opposizione. Cioè il nulla.
TRAVAGLIO ALLA TEDESCA
Fra gli argomenti più usati dal direttore del Fatto quotidiano nella sua personalissima campagna contro la riforma costituzionale ce ne sono un paio che sanno molto di Germania. Il primo, dare una maggioranza assoluta di seggi alla lista che ha ottenuto solo una maggioranza relativa di voti è un violazione grave della democrazia, abolisce la sovranità che secondo la costituzione appartiene al popolo. L’altra sera ha attaccato in modo molto esagitato e scortese, accusandolo di dire stupidaggini, scempiaggini, Roberto D’Alimonte, uno dei padri dell’Italicum. Il professore e Paolo Mieli (voto 9, a entrambi) hanno obiettato che la stessa cosa accade in Gran Bretagna e in Francia e nessuno se ne lamenta, nessuno grida allo scandalo perché Cameron e Hollande governano con uno voto su tre degli elettori dei loro paesi. Non c’era verso, agli occhi di Travaglio trovava grazia solo la Germania dove la Merkel con oltre il 40 per cento dei voti ha dovuto piegarsi alla grande coalizione per raggiungere il 50,1 per cento.
L’altro punto riguarda la modalità di elezione del Senato: sottratta al popolo sovrano e viziosamente demandata ai consiglieri regionali, a suo dire la feccia del ceto politico. Anche qui Travaglio preferisce il modello tedesco al senato francese eletto con elezioni indirette cui partecipano consiglieri regionali e provinciali. Se non che sulle elezioni politiche propriamente dette Travaglio preferisce il maggioritario a due turni alla francese al proporzionale corretto alla tedesca. Non sarebbe male mettersi d’accordo con se stesso.
ANCHE BRUNETTA…
Anche il capogruppo di Forza Italia alla Camera non sta molto bene. Si può capire l’ostilità politica o anche la disistima personale nei confronti di Renzi, ma questo non legittima né Travaglio né Brunetta né altri a dire cose suonano come presa in giro di tutti gli elettori e che non si possono proprio più sentire. Forza Italia vuole la repubblica presidenziale, l’elezione diretta del capo dello stato e presenterà una riforma costituzionale in tal senso. Lo ha detto anche Mara Carfagna e questo non è un’attenuante. Insomma s’è costituito un fronte ampio contro l’uomo solo al comando, è in atto una campagna contro il venir meno dei contrappesi e quindi per cambiare gli effetti giudicati pericolosi del cosiddetto combinato disposto (ma che orrenda parola, voto 2) della riforma costituzionale e dell’Italicum e questi che fanno? Propongono una monarchia repubblicana. Con il sostegno pare pure di Salvini e Meloni. Ma per favore.
TORNA LA MUCCA
Bersani vede di nuovo una mucca in corridoio. Pochi hanno capito esattamente cosa voglia dire ma l’espressione è assai simpatica. E’ probabile che stia criticando il Pd che a suo dire non è né carne né pesce e per tenere fede alla vocazione maggioritaria accetta di perdere pezzi a sinistra se conquista consensi a destra. Ma magari, volesse il cielo, direbbe chiunque si ostini a credere a un bipartitismo virtuoso come possibile salvezza. Lui invece vuole il solito “grande” campo di centro sinistra, dove nuovi piccoli Prodi possano crescere. Forse del campo se ne frega, vuole solo che il presidente del Consiglio e il segretario del partito siano cariche disgiunte, non cumulabili. Oh Pier Luigi, l’è mica un grullo quello lì.
GLI AUGURI DI TONI
Per i suoi 80 anni ha ricevuto una montagna di auguri, da Putin a George W. Bush, calciatori e dirigenti vecchi e nuovi del Milan, conduttori e volti delle sue televisioni. Tra questi ha colpito un lungo messaggio di Toni Capuozzo (voto 10 e lode), ex gauchista approdato alle reti Fininvest dove è diventato il formidabile grande reporter che conosciamo. Impossibile non sottoscrivere ogni parola della sua lunga lettera, non associarsi alla sua visione della parabola di Berlusconi. E poi anche Toni è milanista.