Telecomando del Nì
Festeggiare il ritorno a casa con un “rich kid” in versione realismo sociale, ammiccando alle colpe, geologicamente prescritte, del berlusconismo – “Tutti ricchi per una notte” con yacht, selfie, Briatore e Lele Mora – è un atterraggio morbido nel ventre molle dell’informazione mainstream Rai. Di certo, non una bomba guerrigliera lanciata contro il Palazzo d’Inverno (autunno inoltrato: si vota il 4 dicembre) del Potere. Non fa danni e non fa male, il debutto di Michele Santoro su RaiDue. “Italia” ha raccolto un milione e 771 mila spettatori, share medio 8,13 per cento, con un picco al 10 quando è comparso nel finale Alex Zanardi. Ma Alex Zanardi, si sa, è una bandiera italiana tutto meno che divisiva.
Chi dice che ha fatto poco, mezzo flop, e in effetti proprio tanto non ha fatto, dovrebbe però riflettere su due aspetti. Il primo, quantitativo, è che un 8 per cento di questi tempi, per un talk, e per un talk della Rai, non è esattamente un disastro. Per quanto lontano dalle folle oceaniche del tribuno che fu. E infatti l’azienda ha espresso moderata soddisfazione. L’altra, più interessante, è questa. Che un Santoro così non sembra destinato (interessato) a interpretare il ruolo del pistolero. Né a increspare il mainstream informativo della tv pubblica e il suo tradizionale e blando, sottaciuto persino, governativismo. Certo, c’era Tomaso Montanari, il Settis giovane, ma parlava di centri storici. Il punto non è tanto che Santoro abbia fatto intendere, più fuori dalle righe che sotto, di essere orientato al “Sì” referendario. E’ forse più notevole che a Marco Travaglio (del cui giornale Santoro è uno degli editori: che fai lo cacci?) seduto tra il pubblico abbia detto che sulla Rai la pensano diversamente.
Già, la Rai peggio di quella dell’editto bulgaro, la Rai militarizzata di Renzi, un tutt’uno nazarenico con la Mediaset “allineata al Sì” di Confalonieri che tanto spaventa Travaglio. Il continuo al lupo al lupo gridato dagli oppositori del referendum contro l’occupazione dell’informazione – tranne poi prenderle di santa ragione, come Zagrebelsky quando ha avuto l’agognato spazio paritetico da Mentana – oltre a rischiare di essere controproducente, è sostanzialmente sballato. Il Santoro non tribunizio rappresenta – senza premeditazione, naturalmente – un modo d’essere della tv d’informazione che in questa fase non spiace, probabilmente, neppure a Matteo Renzi. Significativo che l’aggressivo vigilante Rai del Pd, Michele Anzaldi, ieri abbia twittato: “Santoro come Totti: i grandi giocatori non hanno età e crisi di format, entrano e fanno spettacolo”. Qualsiasi cosa significhi. Personalizzare troppo lo scontro non rende (e al massimo se ne sta occupando di persona Renzi), meglio sopire un po’. Come fanno i tg, come fa Bruno Vespa coi suoi buoni ascolti tranquilli.
Certo s’aggirano in televisione pure gli urlatori. Certo, su La7 c’è Floris, con l’esule Giannini, a far la parte della nemesi della Rai “epurata”. C’è Lilli Gruber. Ma sono nicchie, misurate sul pubblicone. Però ad esempio la temutissima Bianca Berlinguer è stata dirottata con la sua striscia “Carta Bianca” in una fascia tardo-pomeridiana (17,30-18) che più ovattata e ininfluente dal punto di vista politico non si potrebbe. L’ora che dall’altra parte gli controprogrammano i “Puffi”, come avrebbe detto Enrico Ghezzi. Su Mediaset c’è “Matrix” di Nicola Porro, ma con fairplay. Ma ieri Santoro è stato battuto anche dalla non proprio trionfale fiction civica “Rimbocchiamoci le maniche” di Canale 5.
Che al di là dei proclami politici di Sabrina Ferilli è una fiction di ottimismo pop che più governativa e meno antipolitica non si potrebbe. La sfibrante (per il pubblico) lunghezza della campagna elettorale è un altro elemento che suggerisce – a chi capisce di politica e di tv – di acquietare, almeno per un po’, i toni dello scontro. L’informazione dei maggiori canali viaggia sui toni un po’ distratti e più congeniali della maggioranza silenziosa e laboriosa, il ventre molle della società italiana. Col suo ottimismo un po’ disilluso. Tanto, i disastri dell’antipolitica (“peggio della Brexit”) si fanno leggere da soli. Per sostenere la causa bastano, al momento, le forze dell’informazione cautamente schierata per il “Nì”. Che è sempre meglio del “No”. O almeno è più funzionale. Nell’audience e forse, alla fine, nelle urne del referendum.