Quattro lezioni per l'Italia che arrivano dalla Spagna
Si capisce: ogni paese ha una sua storia, una sua struttura, una sua dinamica e soprattutto un suo debito pubblico ed è sempre molto difficile prendere spunto da ciò che succede al di fuori dai nostri confini per trasformarlo in un esempio o per costruirci una lezione. Spesso è impossibile, in alcuni casi però è inevitabile. Piccolo esempio: prendete gli ultimi dodici mesi della Spagna, la storia di Mariano Rajoy, di Pedro Sánchez, di Pablo Iglesias, il trend economico del paese. Prendete tutto questo e avrete per lo meno quattro lezioni che vi aiuteranno a capire qualcosa di più sul nostro paese e il suo futuro politico.
La lezione numero uno riguarda il sistema elettorale ed è una lezione semplice: se vuoi evitare che in un contesto tripolare ci sia una frammentazione tale che renda inevitabile la nascita di una grande coalizione tra famiglie politiche diverse l’una dall’altra non hai altra scelta che semplificare il sistema e imporre in modo forzoso il bipolarismo (in Spagna negli ultimi dieci mesi si è votato due volte e da dieci mesi non si riesce a formare un governo).
La lezione numero due riguarda il destino dei partiti anti sistema: metti alla prova le forze anti sistema (Podemos) in un contesto locale e nel giro di pochi mesi gli elettori capiranno che le forze anti sistema rappresentano poco più che una grande illusione dietro la quale si nasconde una gigantesca truffa politica (nel maggio del 2015 Podemos ha vinto in molte grandi città, comprese Madrid e Barcellona, e diciannove mesi dopo, alle politiche, nelle città governate ha perso circa 190 mila voti).
La lezione numero tre riguarda il rapporto tra la sinistra e i partiti anti sistema e potremmo sintetizzarla più o meno così: metti alla guida della sinistra un leader che demonizza il suo avversario di governo (il caimano Rajoy), che si preoccupa solo di non avere nemici a sinistra, che sceglie di rincorrere il partito anti sistema (Podemos) al posto del partito di governo (i Popolari), e stai certo che quel leader (Sánchez) non solo non conquisterà gli elettori dei partiti anti sistema (Iglesias) ma regalerà il grosso del paese al partito di governo (Rajoy) e alla fine sarà costretto a capitolare nel momento in cui quel leader capisce che non c’è altra soluzione per il suo partito che dare l’ok alla nascita del governo del Caimano (in Spagna un governo Rajoy può nascere solo con l’astensione dei socialisti, cosa possibile oggi dopo le dimissioni di Sánchez, ma Rajoy si sente così forte che potrebbe essere tentato di andare a nuove elezioni).
La lezione numero quattro, quella finale, riguarda ovviamente l’economia. Con grande e involontario senso dell’umorismo molti grillinos italiani hanno introdotto nei propri cervelli il seguente microchip: per dire che il governo Renzi fa schifo bisogna dire che persino un non governo come quello spagnolo va meglio del nostro governo. Dato numericamente corretto (la stima del pil italiano nel 2016 è +0,8, la stima del pil spagnolo nel 2016 è +2,9), ma che non tiene conto di un elemento importante: l’economia spagnola va bene non perché non c’è un governo ma perché il governo precedente (Rajoy) ha rivoluzionato il paese con una serie di toste riforme liberali dimostrando che l’unico modo per far marciare l’economia di un paese è fare riforme di destra: la flessibilizzazione del mercato del lavoro, il taglio della spesa pubblica e delle tasse, con le imposte alle imprese tagliate dal 30 al 25 per cento tra il 2015 e il 2016 (e una volta fatte tutte queste riforme si capisce perché l’Europa abbia consentito alla Spagna di arrivare al 5,1 per cento nel rapporto deficit/pil).
Ogni paese ha una sua storia, certo, ma la storia della Spagna è lì chiara e ci dice bene cosa dovrebbe fare l’Italia per avere un paese che potrebbe funzionare anche con il pilota automatico. Aggiornare il microchip.