Caro Sofri, Renzi è la sinistra che sa governare
Carissimo Sofri: magari quel rametto cristallizzato era, invece, diamante vero e l’innamorata l’ha semplicemente respinto come patacca, perché ritrosa e scontrosa. Davvero la metafora del leader solitario che offre alla sua sinistra interna un volgare rametto camuffato da brillanti, venendone respinto come falsario, racconta la verità sulla fine (ma poi c’è mai stata la relazione?) del rapporto d’amore tra Renzi e la sua sinistra? Intanto distinguerei tra la “sinistra” del partito di Renzi e il popolo.
Mi sembra, francamente, un po’ troppo sbrigativa l’identificazione che Sofri suggerisce tra la ritrosia della sinistra Pd sul referendum e l’atteggiamento del “popolo” (compreso quello proprio, degli elettori di sinistra). Dove è scritto che quello che il leader confessa a Cerasa – “il popolo di sinistra” (il grosso ovviamente ), ovverosia gli elettori tradizionali del Pd (l’unica cosa definibile di sinistra che, converrà Sofri, si vede in giro) “sta con noi e ora si tratta di conquistare la destra” è un’antifrase (figura retorica della nostra lingua che rivela il contrario di ciò che si dice)? Insomma, la realtà per Sofri sarebbe: il “popolo di sinistra” è tutto con D’Alema. Renzi lo sa e per vincere al referendum, si rassegna a sperare nella destra. Di qui il consiglio di Sofri: prova a riconquistare la tua sinistra e ritroverai, insieme, D’Alema e il popolo. Magari sostituendo al rametto contraffatto una cosmesi di umiltà e accondiscendenza. E qualche concessione meno edulcorata del rametto. Ma chi dice che le cose stanno così? E che Renzi sia davvero leader solitario e senza popolo, che starebbe già tutto, invece, con l’ex amante scontrosa e delusa? Non è che Sofri ha pure lui dei… sondaggi? Che danno, magari, il trionfo di Zagrebelsky? Perché è così tranchant e apodittico sulla solitudine e la sconfitta di Renzi? Sarò un ottimista (sempre abbastanza razionale) ma mi guarderei dal sottovalutare una freccia che è nell’arco di Renzi (e non è nell’arco del No).
Il 4 dicembre milioni di italiani dovranno alzarsi di mattina e andare a depositare nelle urne la risposta a un quesito: volete fare le seguenti cinque riforme (scritte nel quesito), oppure volete lasciare le cose come stanno? Sono un ottimista obnubilato se ritengo che, a un tale quesito, è più difficile che il “popolo”, anche quello carnascialesco e sbrigativo, non compìto come il professore Zagrebelsky, risponda “No, lasciamo pure le cose come stanno”? Prudenza, consiglierei: a me il Sì, continua a sembrare più ovvio del No. Più “popolare”. Ma torniamo alla metafora del rametto di Stendhal. Davvero Renzi può essere catalogato, come scrive Sofri, nella galleria dei leader solitari, seducenti con patacche, senza programmi, idee plausibili e competenza di governo (a differenza degli antieroi della Prima Repubblica), durato l’espace d’un matin e avviato alla rapida dimenticanza? Secondo me no! Sofri sottovaluta una particolarità del renzismo, pressochè unica nella storia della Repubblica e dei suoi eroi e antieroi della politica: Renzi fa riforme o invita il popolo (come succederà il 4 dicembre) a decidere su di esse. A Renzi, con spregiudicatezza e tratti di insopportabile goliardia – forse troppa per riformisti classici e di scuola come alcuni di noi – è riuscito, occorrerebbe riconoscerlo, un piccolo capolavoro: concretizzare riforme. Si tratta di una novità in quella storia di “riformismo senza riforme” che è, secondo gli storici, il tratto caratterizzante (e mortificante) della storia e dell’esperienza della sinistra italiana. Anche di quella più recente. Sofri sottovaluta la percezione di massa di questa novità. Non so se basterà a vincere il referendum e, poi, le elezioni politiche, ma quella novità – un riformista che fa le riforme – c’è. E Sofri sbaglia, a mio avviso, a sottovalutarla. Il rametto non è una patacca: ci sono brillanti veri.
E’ piuttosto l’amante scontrosa, la sinistra interna, che si è ritratta, sottratta alla sfida e ha rifiutato il pegno d’amore che era: proviamo a cambiare! A riformare. Occorreva che la minoranza del Pd elaborasse la sconfitta del 2013 e accettasse la sfida del renzismo: fare riforme. Che lo incalzasse sulla coerenza e il passo delle riforme. Che denunciasse, quando necessario, l’incedere incerto, spesso frammentario del governo: lentezze, incoerenze, passi indietro. Forse a Renzi è mancato un watchdog riformista interno, Bersani e Letta ne avevano le carte, che ne vigilasse il passo piuttosto che una somma di rifiuti e dinieghi. Piuttosto che dare vita a correnti impalpabili se non nel clamore del rifiuto e dei No. Potevano scommettere sul rametto cristallizzato invece che respingerlo come patacca. Forse le riforme sarebbero state piu’ numerose e spedite. E poi, caro Sofri, tu uomo di sinistra come fai a sopportare gli argomenti con cui l’amante ha respinto il rametto cristallizzato? A me, uomo di sinistra come te, ha fatto orrore il passo all’indietro su ogni argomento di riforma (il Jobs Act, la scuola, le opere pubbliche, le tasse, le politiche europee, le riforme costituzionali e la stessa legge elettorale) della minoranza interna: sempre, in un modo o nell’altro, attestata a contrastare e fermare le cose. A lasciarle come stanno. In nome, magari, come dicevamo da ragazzi rivoluzionari, del “benaltro”. O in nome, tu in cuor tuo lo percepisci ne sono sicuro, di quella parola-donnola, di quella chimera, di quell’illusionismo regressivo – perché bloccante e paralizzante – che è stata la parola “sinistra” per D’Alema e soci. Loro dichiarano di opporsi alle riforme di Renzi in nome delle ragioni della “sinistra” conculcate da Renzi. Com’è possibile? Cos’è? Dov’è questa sinistra da ritrovare? Di quali parole è fatta? Che dizionario usa? Quali riforme sostiene? Dov’è un esempio di essa che vince nel mondo? E all’opposto: cosa ha di diverso la “sinistra” – che interpella e ricerca persone con il curriculum vitae di Bersani e D’Alema – da un centrosinistra equilibrato, di governo, modernizzato e concludente, veltronianamente maggioritario per vocazione (che cerca sempre i voti anche a centro e a destra)? Non era questo, in fondo, il progetto del Pd? Che nacque, intanto, già con voti non di “sinistra” (o lo erano, quelli dei “costituenti De Mita e Franceschini?). Non era, forse, l’intenzione (così dicevano) del Pd della “vecchia guardia” portare quella sinistra (che non vinceva mai elezioni) al centrosinistra, cioè dal “riformismo senza riforme” al riformismo che governa e fa le riforme? E prendendo i voti dei moderati? Magari sperando di agevolare la transizione con una nuova legge elettorale (più maggioritaria) e qualche riforma costituzionale (che sostenesse i riformisti nella possibilità di fare le riforme)?
Il Pd deve poter vincere, non pareggiare
Questa, caro Sofri, era l’ambizione costitutiva della sinistra che decise di non chiamarsi più comunista. Per 30 anni abbiamo inseguito l’obiettivo di passare dalla sinistra al centrosinistra. Per vincere come dice Renzi e non, come non piace al pacifico Zagrebelsky, per al massimo pareggiare. E vincere non per dominare, come teme il pacifico Zagrebelsky, ma solo per (democraticamente) governare. E fare le riforme. Le “ragioni della sinistra” da riaffermare sono diventate, per D’Alema e soci, astratta evocazione: a tratti oscure e poco brillanti quando si identificano con massimalismi, antipolitica, estremismi e populismi alla Syriza, alla Podemos o, peggio, alla Casaleggio. O quando tali ragioni si coniugano, maldestramente, nella “paura delle riforme” e, persino, nella malinconica restaurazione del vecchio più vecchio: la riabilitazione del proporzionale, l’elogio del bicameralismo, l’orrore di un governo che decida, la nostalgia della saggia, immobile e incasinata repubblica di prima: della Dc e del Pci. L’errore imperdonabile della minoranza Pd, caro Sofri, è stato quello di non prendere sul serio quel po’ di diamante (la possibilità, finalmente, di fare le riforme) che c’era nel rametto cristallizzato. Confuso per patacca. Renzi non piace ma non è un clamante. Fa delle riforme. Dire “le blocco perché non sono di sinistra” dovrebbe, a te Sofri come a me, far cadere le braccia.