Viva gli impiccioni. Sms a De Bortoli
Caro De Bortoli, e potrei dire caro Ferruccio perché ci conosciamo, facciamo più o meno lo stesso mestiere, e siamo talmente diversi che tra noi vige una specie di mite confidenza come tra alieni. Ho aspettato un po’ a rivolgermi a te perché quando hai scritto che Marco Carrai, imprenditore e amico notorio del presidente del Consiglio, tramava intorno al Montepaschi con i suoi sms, e quando hai sparso fumo di zolfo intorno alla JP Morgan, non credevo ai miei occhi. Va bene, Renzi non ti piace, e questo è più che legittimo. Hai in passato incrociato la spada con lui su un tema secondo me troppo ovvio, e completamente fuori squadra, un gesto pavloviano da riflesso condizionato, come il sapore di piduismo, di arezzismo, di gellismo emanante dalla sua storia personale.
Viviamo in un paese grottesco, con un Antonio Ingroia, il magistrato che voleva visibilmente fare il profeta politico e che dovrebbe solo leccarsi le ferite del processone farlocco sulla trattativa stato-mafia e della lista bouffonne da lui partorita in nome delle sparate sulle agende rosse, che si fa autore sul giornale di Travaglio di un articolo dal titolo “i mandanti della riforma costituzionale”, i mandanti, roba da manicomio. La P2 è stata usata da fior di immobilisti, da moralisti interdittivi, da magistrati penali in fregola di supplenza, contro chiunque si sia mosso sul proscenio in modo non conforme, da Craxi a Cossiga a D’Alema (intervista di Colombo al tuo giornale contro la Bicamerale), ed è stata usata in modo obliquo, insinuante, per ripetere sempre la stessa solfa da trent’anni: chi vuole governare ha in mente il piano di rinascita elaborato dal materassaio di Arezzo (pace all’anima sua). Però in un conflitto aspro, diretto, dalla cattedra direttoriale del Corriere, contro un politico tipicamente non-gelliano, un ragazzotto abile e svelto fattosi da sé, da Firenze in poi con metodi plausibilmente trasparenti, a colpi di primarie e di convegni leopoldini modernizzatori, si può anche capire che l’accusa ritorni come pegno di irriducibilità, spalancato sul baratro dell’incomprensione senza riserve. Anche se a questo piano di rinascita aderiscono un Nanni Bazoli e un Fedele Confalonieri, un Benigni e perfino un Santoro, e comunque è vasto il campo (vedi Sofri ieri nel Foglio) di quanti diffidano della ripetizione coatta della solita guerra di religione costituzionalistica in nome della lotta antifascista e repubblicana alla deriva autoritaria, sebbene militino in un campo italiano di cultura e di sensibilità lontano dalla Leopolda, lontano dal governo che abolisce l’articolo 18, lontano dai modi e da certe sbrigatività che sono state tipiche della “rottamazione”.
Ma la storia di Carrai è funesta. Non solo per via del fatto che hai sbagliato, questo è meno grave, visto che lo hai prontamente riconosciuto. L’sms incriminato, dico “incriminato”, era posteriore alla nomina del nuovo amministratore del Monte, ed era un gesto di normalissima cortesia, e congratulazione, di Carrai a un conoscente. Il problema è che tu disconosci a un libero cittadino italiano, che ha legami personali antichi con chi dirige il governo ma non per questo deve essere considerato un paria, il diritto di impicciarsi nella questione, di rilevante interesse per ogni imprenditore che si rispetti, del destino del Monte e dei vari piani di salvataggio. Lo metti sotto arcigna investigazione mediatica per un non-reato presunto, e inesistente a quanto pare. Sarebbe come dire che Corrado Passera, anche lui personalità pubblica e politica, anche ex ministro e “capo partito”, per quanto effimero, non aveva il diritto di approntare un suo piano, di indicare la coalizione di interessi e di forze finanziarie utile a sostenere la banca in difficoltà, muovendo le sue pedine. Invece il Corriere non ha demonizzato Passera, ha illustrato il suo impicciarsi, le sue proposte, e ha dato la sensazione anche di avere l’acquolina in bocca, per essere poi provvisoriamente deluso dagli sviluppi. Banchieri, imprenditori, cittadini e lobbisti si impicciano, e che male c’è? Siamo o no una società aperta, di mercato, in cui non si ostracizzano bensì si regolano interessi privati, relazioni d’affari, o siamo una specie di società morale in accomandita di proprietà della solita, sempre la stessa, famiglia bancaria-editoriale? Sono sicuro della tua risposta, e per questo non ho capito la tua piccola inquisizione contro Carrai. Sapeva di pregiudizio politico e castale, il che non va bene.
Quanto alla JP Morgan, trasecolo. E’ un soggetto privato, di dimensione internazionale, un soggetto tra gli altri, non è monopolista né del denaro né delle idee. Elabora come tutti i privati i suoi scenari, le sue analisi politiche, decisive in un mondo di mercato aperto all’influenza della politica su economia e società. Ha detto una banalità in un documento del 2013: una buona governabilità, istituzioni semplificate, ecco quello che ci vuole in Europa. E questo basta a indagare su quelli che Ingroia chiama “i mandanti” della riforma costituzionale?
Basta a gettare l’ombra del sospetto sull’incontro ufficiale con Jamie Dimon, il capo della banca d’affari, con il potere politico italiano, a Roma, a Palazzo Chigi? Caro Ferruccio, hai vissuto come me e generazioni di italiani in un mondo in cui gli Enrico Cuccia, e i Mattei e i Cefis, facevano politica nei settori più vari, le famiglie del capitalismo proprietario, l’energia, e svolgevano il loro ruolo quasi eterno, non dico coattivo ma disciplinare, mentre passavano i Fanfani, i Moro, i Craxi, i Prodi. Sai che la storia del paese è una storia di intrecci, e non poteva forse essere diversamente, e sai che l’interesse di una grande banca d’affari americana per il Montepaschi o per la riforma costituzionale sono altra materia rispetto a quella dei tempi delle guerre economiche, finanziarie e bancarie della vecchia Repubblica. Sai che anche qui si tratta di cose da controllare, regolare, da esporre, ma sulle quali non è lecito interdire, moralizzare con due pesi e due misure. Il capitalismo di oggi può non piacere ma è abbastanza diverso dalle vecchie eroiche logiche di quando la politica faceva capitalismo di stato e il capitalismo faceva politica privata all’ombra delle vecchie regole. Lascia che Carrai faccia quel che desidera e si impicci, come tutti, dei destini delle banche, se ne abbia voglia, e non trattare come una congrega di delinquenti i banchieri da sottoporre a regole, non a sospetti.
Con amicizia,
Giuliano Ferrara