Bisogna avere il coraggio di lasciarsi alle spalle le paure degli anni Quaranta. Questo referendum in fondo è su questo

Andrea Tavecchio
Le ragioni del perché No sono conosciute e sono chiare e riguardano più il soggetto della riforma (Renzi) che l’oggetto della riforma (la Costituzione). Quelle del perché Sì sono meno evidenti, meno raccontate e per questo più interessanti. Cosa c’entra la generazione dei trenta-quarantenni con la riforma costituzionale? Girotondo fogliante.

A leggere tutto d’un fiato e da non costituzionalisti l’articolato delle modifiche introdotte dalla riforma su cui voteremo il prossimo 4 dicembre si capisce come alcune ragioni del No abbiano un loro fondamento. Vi sono passaggi che lasciano un po’ perplessi, specie quelli che riguardano l’effettivo e concreto funzionamento del Senato. Nel complesso si ha la sensazione che i cambiamenti che verranno apportati avranno bisogno di rodaggio, anche per i tanti regolamenti parlamentari da emanare, e poi di un buon tagliando.

 

Sembra quindi un bicchiere mezzo vuoto per chi, come chi scrive, è convinto che si debbano superare le paure che fecero scrivere ai costituenti una Carta che era fatta per non far perdere veramente nessuno, chiunque fosse il vincitore, e che metteva al centro un sistema dei partiti che al tempo era forte e radicato. Il contesto da allora è mutato profondamente. Non ci sono quasi più i partiti, i tempi per analizzare e decidere come agire si sono accorciati e la dimensione dei problemi si è ampliata facendo un salto quantico, come si direbbe in fisica. Basta pensare alle sfide che l’economia digitale pone alla reale capacità impositiva degli stati ed alla loro conseguente capacità di tenere in vita il welfare state e quindi le democrazie parlamentari occidentali come le conosciamo oggi.

 

Che la costituzione abbia un urgente bisogno di tagliando lo dimostrano inoltra le tante “emergenze” gestite con i decreti legge così come l’estensione del ruolo del Presidente della Repubblica ben oltre a quello di garante dell’unità nazionale. Se grazie alla vittoria del Sì al Referendum avremo quindi un iter legislativo complessivamente più semplice e maggiore forza del governo faremo un passo nella direzione giusta per dare modo al nostro paese di affrontare le sfide della modernità. L’alternativa è continuare ad avere una Carta che, pur bellissima nelle enunciazioni di principio, forse la più bella del mondo, sembra in modo bipartisan da alcuni decenni da aggiornare. Lo avevano capito anche i Costituenti, sulla seconda parte della Costituzione, che era un lavoro figlio del loro tempo. Bisogna avere il coraggio di lasciarsi alle spalle le paure degli anni Quaranta del secolo scorso. Questo referendum in fondo è su questo.

 

Andrea Tavecchio, commercialista milanese, è socio promotore dello studio Tavecchio e Associati, classe 1969

 

 

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