Contro i professionisti della lagna
La lagna fa premio su tutto, di questi tempi. Gli stadi sono vuoti e secondo il dirigente federale Antonio Romei fra dieci anni se continua così il calcio è fallito. Però gli stadi sabato e domenica erano pieni, e alcuni abbastanza pienotti, e i calciatori sui vent’anni si moltiplicano nella serie A e segnano. Il problema esiste, la tv è più comoda, le dirette sono senza risparmio, ma forse certi toni declinisti sono esagerati, no? I giovani, signora mia, stanno a casa in famiglia in una media superiore a quella europea. Ma c’è propensione a trasferirsi, anche all’estero, tra i giovani, come sa chiunque oltre alla gita a Chiasso abbia fatto un salto a Londra, a Monaco, a Parigi. Mangiamo meno pesce e frutta, dicono, e solo verdura di stagione, ma intanto ci permettiamo un sacco di bar con i cornetti vegani, e non so che cosa ci sia dentro ma sicuramente è qualche costosa schifezza, e dilaga la pizza con accluso rigoroso pizzaiolo egiziano, diffuso qui come il cuoco e il cameriere italiano nel nord Europa. C’è la fuga dei cervelli, segno di vitalità, e la fuga dei pizzaioli.
Il sociologo di Repubblica dice che la generazione giovane è nomade e la famiglia un porto d’arrivo e di ripartenza continua, buon segno, no? Equitalia fu considerata per dieci anni una causa di umiliazione e perfino di morte (la famosa storia dei suicidi), dall’anno prossimo sarà abolita, “cucù Equitalia non c’è più” cinguetta il premier dall’austera Badessa, ma ecco la lagna: è solo un cambio di nome oppure era meglio quando era peggio. Il Senato è superato, vecchia rivendicazione efficientista di quattro quinti degli italiani, ma per molti brontoloni incombe addirittura una “deriva autoritaria”. Il purchasing manager index dice che c’è tensione nella domanda in Europa, le cose vanno meglio, gli interessi sui mutui non sono mai stati così bassi, ma la parola crisi agita sovrana il brontolio dei nostri pensieri con una sistematicità o una ripetitività sospette. Gli studenti, o una loro rumorosa minoranza, innestano i soliti scioperi di ottobre con lo slogan “no alla scuola dei padroni”, mugugno ideologico datato a circa mezzo secolo fa (1968).
La protesta politica e sociale è vita per una democrazia. Si esprime con il voto e in mille altri modi. Dovrebbe mettere in campo argomenti, dati certi su cui ragionare, e dovrebbe essere selettiva, concentrata su obiettivi qualificanti, dovrebbe cercare se non indicare sbocchi, alternative. Invece siamo spesso ancorati a lagnosi vaffanculo, alla generica renitenza, al gioco delle antipatie personali, dei rancori che fanno blocco con altri rancori (avete visto quanto è nervoso D’Alema di fronte a un piatto satirico di agnolotti con ripieno di patate?). Poi c’è la nenia cosmica, le nuove ere del meteo e dell’anidride carbonica che minacciano lo scioglimento di ghiacciai antartici e i mari più alti di tre metri, praticamente la fine del mondo. Benigni promette allegria su allegria, e fa ogni sforzo, ma parrebbe piuttosto solitario. Le migrazioni testimoniano che il nostro mondo e modo di vita è ancora un magnete, non un repellente chimico maleodorante.
L’aurea mediocritas, la lontananza saggia dall’eccesso, è una virtù classica del tutto spenta nel mondo del piagnisteo descritto con tanta ironia da Robert Hughes. Siamo tutti vittime, tutti esodati della vita, bisognosi di essere come si dice “riprotetti” e garantiti. Qualcuno deve pensare per noi, agire per noi, darci qualcosa: eravamo partiti con i sogni militanti del dottor King e con il “non domandatevi che cosa può fare il paese per voi, ma cosa potete fare voi per il vostro paese” di JFK, avevamo attraversato la retorica di nobile marketing di uno Steve Jobs, che ci voleva inquieti e affamati, e siamo alle lamentazioni ordinarie e sazie per il non funzionamento del Jobs Act, alla desertificazione delle speranze inghiottite tutte dalla lagna universale. E smetterla con le querimonie non sarebbe intanto un progresso?