Mario Mori, al centro (foto LaPresse)

Mario Mori scende in campo per combattere la malagiustizia italiana

Ermes Antonucci

L'ex generale dei carabinieri, per due volte accusato in maniera infamante e per due volte assolto nel silenzio generale dei media, si èdeciso a raccogliere il testimone della battaglia per la giustizia giusta che fu di Enzo Tortora.

Roma. L’annuncio arriva al termine di un convegno fitto di riflessioni e proposte per rilanciare la macchina giudiziaria italiana, ingolfata da ritardi, carenze d’organico, disfunzioni normative e a volte discutibili comportamenti degli operatori (magistrati e avvocati). Il convegno è “Il giorno della giustizia (e dell’economia)”, organizzato all’Hotel Nazionale di Roma dalla Marianna, movimento dell’universo radicale guidato da Giovanni Negri, e a fare l’annuncio è l’ex capo dei servizi segreti Mario Mori, per due volte accusato, in pompa magna e in maniera infamante, di aver favorito Cosa Nostra e per due volte assolto nel silenzio generale dei media. Il generale scende in campo, dicendosi pronto ad assumersi la responsabilità di portare in Parlamento provvedimenti concreti per far sì che nessun cittadino possa, come lui, essere vittima in futuro della malagiustizia italiana, quella che prima accusa e che poi assolve lasciando in ginocchio i malcapitati.

 

Era stato proprio Negri a lanciare, pochi minuti prima, l’appello all’ex generale dei carabinieri: “Dobbiamo da qualche parte premere sul mattone giusto che faccia venire giù il muro. Dobbiamo avere una bandiera che possa interpretare il pacchetto di riforme necessarie per la giustizia. Se un generale, che è il simbolo di un paese che riesce a processare un servitore dello stato, criminalizzandolo in prima pagina e non restituendogli l’onore se non con notizie a pagina 42, accettasse di candidarsi e di portare in Parlamento questi pochi provvedimenti concreti, forse si potrebbe avere più speranza”.

 

Il generale Mori decide di compiere il passo in avanti. Lo fa riepilogando prima le tappe della sua assurda vicenda giudiziaria: rinviato a giudizio nel 2004 per presunto favoreggiamento per la ritardata perquisizione del covo di Totò Riina e assolto nel 2006 (senza richiesta di appello da parte della procura di Palermo); accusato in seguito di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano, ma assolto sia in primo grado, nel 2013, che in appello lo scorso maggio; infine indagato e ora imputato nel noto processo di Palermo sulla “trattativa stato-mafia”, che però nel novembre 2015 ha già conosciuto l’assoluzione con rito abbreviato di Calogero Mannino. “Io conosco benissimo la materia – spiega Mori – ho archiviato tutti gli atti di cui sono stato protagonista, ho potuto scegliere avvocati specializzati, ho le risorse economiche che mi consentono di affrontare la situazione. Ma questo è l’imputato Mario Mori. Di fronte a una vicenda simile l’imputato Luigi Rossi sarebbe stravolto e si dovrebbe affidare alla clemenza della corte. Ecco perché rispondo alla sollecitazione di Giovanni Negri: per far sì che non ci siano più differenze tra Mario Mori e Luigi Rossi”. Mori, insomma, è deciso a raccogliere il testimone della battaglia per la giustizia giusta che fu di Enzo Tortora: “Accetto di fare il portavoce del movimento. L’importante sarà raccogliere le proposte concrete di tante persone esperte, poi per la candidatura alle elezioni si vedrà”, conferma al Foglio.

 

Per le proposte Mori potrà trarre molti spunti dal dibattito svoltosi nel convegno promosso dalla Marianna, durante il quale si sono alternati magistrati, avvocati, professori e militanti. Mentre Paolo Borgna (procuratore aggiunto di Torino) ha criticato l’illusione dell’obbligatorietà dell’azione penale, rilanciando l’idea di un’amnistia per smaltire l’arretrato, e mentre Giuseppe Di Federico (professore emerito di ordinamento giudiziario all’Università di Bologna) ha illustrato i “numeri dell’ingiustizia” (24 mila italiani innocenti mandati in carcere negli ultimi dieci anni), Bernard Chittaro (ceo di Bnp Paribas Real Estate) e gli avvocati Claudio Vivani (Studio Tosetto Weigmann) e Tommaso Ricolfi (Studio Benessia – Maccagno e Bassilana) hanno raccontato, sulla base delle loro esperienze, i motivi per cui, a causa della malagiustizia, i capitali stranieri faticano a essere investiti nel nostro paese.

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