Il club degli ex premier contro la riforma di Renzi. Tra amore e politica
I fidanzati delle ex fidanzate – a meno che non si sia scelto di eliminare per sempre le ex morose dalla propria vita, come direbbe Maurizio Milani – sono da sempre un problema emotivo e sociale per i vecchi e nuovi nuclei familiari e da che mondo è mondo ogni ex fidanzato che guarda il fidanzato della propria ex fidanzata vive in un frullatore di emozioni, dove la frustrazione si miscela in modo disordinato con l’odio, la rabbia, l’invidia, la passione, l’amore, il disprezzo, l’orgoglio, la gelosia, il tormento e la collera. Se vogliamo intendere la politica, e in particolare il rapporto tra un presidente del Consiglio e la presidenza del Consiglio, come il rapporto tra un uomo e una donna, si può dire che oggi tra gli ex fidanzati della presidenza del Consiglio e l’attuale fidanzato della presidenza del Consiglio sono in corso delle dinamiche emozionali simili a quelle che abbiamo appena descritto, dove la rabbia, l’invidia, la passione, l’amore, il disprezzo, l’orgoglio, la gelosia, il tormento, la collera sono le testimonianze di una ferita ancora aperta, di un amore bruscamente interrotto, di una incapacità a mettere in pratica una vecchia e cinica massima firmata da Marilyn Monroe: “Non essere gelosa se vedi il tuo ex con un’altra: la mamma ci ha insegnato che devi dare i giocattoli usati ai meno fortunati”.
Per arrivare ai nostri giorni oggi è possibile dire che nella movimentata repubblica dei No, intesa come quella allegra repubblica formata dai sostenitori del No al referendum costituzionale, il partito degli ex, inteso come partito formato dagli ex presidenti del Consiglio, è forse quello che merita una maggiore attenzione, sia di natura politica sia di natura psicoanalitica. E il fatto che tutti gli ex presidenti del Consiglio ancora in attività (con poche eccezioni) siano fermamente contrari alla riforma costituzionale voluta da Renzi è qualcosa di più di un semplice caso ed è qualcosa che va ben al di là delle singole contrapposizioni di carattere appunto costituzionale. E così, scopriamo che contro la riforma voluta da Matteo Renzi (presidente del Consiglio in carica, da 983 giorni) sono schierati – con una diffidenza che curiosamente è direttamente proporzionale al numero di giorni passati da Renzi a Palazzo Chigi rispetto a ciascuno degli ex fidanzati della presidenza del Consiglio – nell’ordine: Ciriaco De Mita (presidente del Consiglio per 465 giorni, tra il 1988 e il 1989); Lamberto Dini (presidente del Consiglio per 486 giorni, tra il 1995 e il 1996); Massimo D’Alema (presidente del Consiglio per 552 giorni, tra il 1998 e il 2000); Mario Monti (presidente del Consiglio per 529 giorni, tra il 2011 e il 2013); oltre ovviamente a Silvio Berlusconi (quattro volte presidente del Consiglio, detentore del record di durata di governo della storia della repubblica, 1.412 giorni, tra il 2001 e il 2005, e non a caso il meno violento di tutti contro l’attuale presidente del Consiglio, al punto di essersi circondato da persone non ostili alla riforma voluta da Renzi, pensate solo a Gianni Letta, pensate solo a Fedele Confalonieri). Probabilmente nulla sapremo, almeno nell’immediato, rispetto all’orientamento di un ex presidente del Consiglio come Romano Prodi, 887 giorni al governo tra il 1996 e il 1998, che sulla riforma non si è ancora esposto ma che difficilmente potrà considerare una tragedia la fine del renzismo (e dunque, secondo le categorie prodiane, la morte politica del mandante dei famosi 101 che nel 2013 affossarono l’ex premier nella corsa al Quirinale). E nulla, probabilmente, sapremo mai di un altro ex presidente del Consiglio.
Uno come Giuliano Amato (premier per 412 giorni tra il 2000 e il 2001 e per 304 giorni tra il 1992 e il 1993), giudice della Corte Costituzionale, in privato ben orientato verso la riforma (uno dei suoi figliocci putativi, il costituzionalista Francesco Clementi, è uno dei maggiori sponsor della riforma), ma che non farà campagna a favore del Sì, a differenza del suo collega alla Corte Sabino Cassese. Così come non farà campagna a favore del Sì, anche se si è schierato a favore della riforma, l’unico tra gli ex presidenti del Consiglio in attività non ostile al referendum costituzionale, un altro ex premier che come è semplice dedurre difficilmente potrà considerare una tragedia la fine del renzismo, in caso di vittoria del No: Enrico Letta, premier per 300 giorni tra il 2013 e il 2014.
Nel club degli ex presidenti del Consiglio, piccole sfumature a parte, esiste un unico grande filo conduttore che lega le varie ragioni del No (e in verità anche qualche ragione del Sì): noi ex fidanzati, se solo ci fosse stato concesso, avremmo senz’altro dato alla luce, insieme con la nostra ex fidanzata, una riforma più bella rispetto a quello sgorbio generato oggi da Renzi. Il sentimento in questione, o meglio il risentimento, è tipico delle anime ferite e dei cuori infranti e in fondo, anche se a vario titolo, tutti gli ex presidenti del Consiglio schierati contro Renzi (e forse anche quelli schierati a favore) hanno in un certo modo una qualche ferita ancora aperta a Palazzo Chigi dovuta a un qualche tradimento ancora non ben assimilato e più in generale alla fine brusca del proprio rapporto d’amore con la presidenza del Consiglio (Prodi fu tradito da Bertinotti, Berlusconi fu tradito da Fini, Letta fu tradito da Renzi, De Mita fu tradito da Craxi). Questa involontaria ma evidente meccanica – in base alla quale ogni ex presidente del Consiglio osserva con gelosia e disprezzo chiunque provi a fare con l’ex fidanzata ciò che non gli è riuscito nel passato – mette in luce alcune spassose e contraddittorie dinamiche, che portano diversi esponenti del club degli ex premier a identificarsi a tal punto con l’attuale premier da arrivare a contestargli le stesse cose che un tempo venivano loro contestate. E così, ma è solo qualche piccolo esempio, troviamo Massimo D’Alema impegnato ogni giorno a lanciare verso il mondo della politica e della società civile commoventi appelli contro la terribile piaga dei politici arroganti.
E così, ancora, troviamo Mario Monti, divenuto presidente del Consiglio grazie a un sistema costituzionale come quello attuale che permette di diventare premier senza che sia necessario avere nel proprio curriculum neppure la certificazione di un voto ottenuto in un’elezione condominiale, impegnato a denunciare la terribile piaga di una Costituzione che in futuro, se approvata, potrebbe alimentare sistemi perversi in cui la democrazia rischierebbe di funzionare in modo imperfetto e in cui gli elettori potrebbero non essere rappresentati come meriterebbero. E così, a voler andare avanti, troviamo un De Mita impegnato generosamente a denunciare la categoria dei politici spregiudicati come i giocatori di poker, quelli cioè disposti a tutto pur di portare a casa un risultato, disposto a dimostrare l’opacità e la meschinità del presidente del Consiglio con affermazioni definitive: “La prima volta che l’ho conosciuto mi disse che il suo papà era democristiano, anzi demitiano”. E nell’attesa che Romano Prodi lanci un importante appello contro la presenza delle armate Brancaleone nell’agone della politica, si può provare a sorridere mettendo in fila le frasi usate da Berlusconi per attaccare Renzi – un leader solo al comando, con pulsioni autoritarie, che mette in pericolo la democrazia, e che per di più non mantiene le promesse – che dimostrano più di qualsiasi retroscena politico come in fondo, forse più di chiunque altro, persino più di Massimo D’Alema, Berlusconi, quando guarda Renzi, un po’ guarda se stesso. Le ragioni del club degli ex premier, all’interno della repubblica dei No, sono dunque tre le più affascinanti. Ma a voler essere precisi fino in fondo bisogna dire che a differenza di tutti gli altri ex fidanzati di Palazzo Chigi, compresi quelli che oggi sostengono il Sì, Berlusconi è l’unico che potrebbe gioire davvero per una vittoria del Sì ed è per questo che il suo Sì è netto ma non troppo, chiaro ma contraddittorio, lineare ma non del tutto coerente. Con il Sì vincerebbe Renzi, certo. Ma con il Sì, è ovvio, vincerebbe anche una precisa idea d’Italia: ovvero quella concepita a Palazzo Chigi da Berlusconi e che Renzi oggi, pur tra mille tradimenti, non ha fatto altro che adottare, proprio come se fosse un figlio.