A chi spetta l'ultima parola
Un banchiere di Londra, come qui riferito a settembre, non era così convinto che si sarebbe arrivati all’uscita del Regno Unito dalla Ue ex articolo 50 senza il vaglio della Camera dei Comuni. La stravaganza britannica ha prodotto un referendum consultivo in cui hanno votato per uscire tutte le contee dove non ci sono immigrati e per restare quelle piene di immigrati fino all’orlo, poi ci ha dato il grande spettacolo del dileguarsi dei leader della Brexit o del Leave in uno scenario di dimissioni, pugni e scontri vari anche con non-duellabili (neduelesposobniy: i notoriamente disonesti non sfidabili secondo il codice d’onore russo raccontato da Vladimir Nabokov), infine l’arrivo a Downing Street di una premier tiepida ma del Remain che però è tentata dall’uscita secca, ma all’undicesima ora questa decisione della High Court che rinvia tutto a un Parlamento poco brexiteer. Ci sarà un ricorso, e magari seguiranno altre evoluzioni. La sterlina risale un poco, l’economia per ora va benone. Si è scoperto che l’immenso Boris Johnson era favorevole a restare in Europa subito prima di essere contrario, un po’ come Peter Louis Bersani. Stravaganza.
Da noi però non è che la stravaganza difetti. Intanto i Boris Johnson, favorevoli all’abolizione del bicameralismo paritario, erano legioni autorevoli subito prima di essere contro (nel fronte del No). Anche la maggioranza del fronte del Sì aveva appena votato No in un referendum sulla suddetta abolizione, perché l’aveva proposta Berlusconi, che voleva un uomo solo al comando in grado di sciogliere le Camere, e ora vuole la proporzionale. Grillo come sempre raccontava e racconta barzellette, ora molto gradite e votate, ma pur sempre barzellette. Il referendum è sub iudice anche a Milano, non solo a Londra. La nostra ordalia è confermativa o abrogativa, ed è obbligante, non consultiva. Ma è anch’essa avvolta da un alone di vaghezza, da un ruolo mistificatorio di molti media che incentivano la paura (la deriva autoritaria, peggio dell’invasione degli immigrati e dei profughi, e con quest’ultima combinata nella propaganda salviniana del No). Stravaganza e cazzeggio, per di più, senza strumenti di misurazione finanziaria perché la lira non c’è da alcuni anni. Convergenze parallele, si direbbe.
Sembra comunque sensato (High Court) che nelle democrazie rappresentative tutti possano dire la loro, all’occorrenza, ma siano poi gli eletti del popolo a prendersi l’ultima parola, in particolare su complessi trattati internazionali o riforme istituzionali che, come la riforma italiana, scritta meglio del Trattato di Lisbona (immagino), non è alla portata di tutte le pazienze. Chi ha una vecchia impostazione razionalistica e realista pensa tutto il male possibile delle moltitudini in movimento, salvo quando delegano ad altri la decisione politica. L’essenza di una democrazia moderna non è nella volontà generale che esce dal guscio del popolo, ma nella delega e nelle istituzioni che, tra pesi e contrappesi, la esercitano. No giacobinismo, no Reich (Dem Deutschen Volke era scritto sul Reichstag, ora Bundestag). Quindi bene se per caso il Regno Unito riesca a uscire dall’impiccio in cui le Midland l’hanno messo e, non si dica a rovesciare, ma a condizionare per il bene della causa, attraverso quella vecchia carcassa di Westminster, la decisione di uscire dalla Ue di cui una solida maggioranza di referendari si è già pentita. Bene se il 4 dicembre, tra il lusco e il brusco, sarà confermata una decisione del Parlamento italiano, Senato della Repubblica encomiabilmente compreso, che si attendeva da trentacinque anni e, in caso di diniego, si dovrà attendere per altri trentacinque anni. Tutto il potere alle Camere quando fanno il contrario di quel che dice il popolo, tutto il potere al popolo se fa quello che suggeriscono le Camere. Non è perfetto?