Lo scempio con le peggiori intenzioni di Bersani
Brunetta troppo sicuro di aver già vinto; bocciati i talleri di Livorno che ci fanno tornare indietro al tempo del resto con le caramelle; bocciato l’occhio da merluzzo appena pescato del Pischello Dibba contro un surreale Scalfari. E la Raggi, che ormai non fa più un passo senza magistrato. Il Pagellone alla settimana politica di Lanfranco Pace.
BERSANI, OH BELLA HAWAIANA MA N’DO VAI SE LA BANANA ECC. ECC.
Pier Luigi Bersani deve sentirsi davvero una bellezza esotica nel partito che contribuì a fondare e che per qualche anno ha diretto. Ancora pochi giorni fa diceva che il Pd era casa sua, che per cacciarlo via ci sarebbe voluto l’esercito, ora invece pare che il desiderio di levare le tende abbia preso il sopravvento nel suo inconscio. I lavori della commissione incaricata di proporre modifiche alla legge elettorale, cui ha partecipato Gianni Cuperlo per conto della minoranza, si sono conclusi con un compromesso dignitoso: abolizione del ballottaggio, premio di maggioranza alla coalizione e non più alla lista, abolizione delle preferenze a favore dei collegi uninominali. Ma Bersani prima ancora della conclusione formale ha sfiduciato Cuperlo, definendolo autore di un tentativo encomiabile ma illusorio: ha annunciato che voterà no al referendum ed è poi partito in tournée elettorale con i fidi Roberto Speranza e Miguel Gotor.
Uno scempio con le peggiori intenzioni, diremmo oggi, comportamento frazionista si sarebbe detto un tempo, in qualsiasi partito la sanzione sarebbe l’espulsione immediata. Ma Renzi che è furbo non espellerà nessuno, lascia che siano gli altri a preparare l’ennesima scissione a sinistra, la sola incertezza è quando si consumerà. La cosa strana è che Bersani sembra non curarsi affatto di cosa farà da grande: non potrà mai riprendere in mano il Pd nemmeno se a votare fossero solo i militanti, né può pensare di raggiungere una dimensione politica significativa unendo il suo destino all’uomo più detestato della sinistra planetaria, Massimo D’Alema, agli irrilevanti Civati, D’Attorre, ai cespugli di Sinistra italiana e nel migliore dei casi a Rifondazione e vendoliani: una congregazione di refrattari senza discernimento né teoria che a mala pena arriverebbe al 8 per cento dei voti. La diaspora del Pd porterà acqua soprattutto ai 5 stelle: possibile che l’odio nei confronti del fiorentino accechi al punto di far preferire Grillo?
E’ la domanda che si fa Sergio Staino, padre di Bobo e attualmente direttore dell’Unità, un tempo sodale di Bersani e comunque a lui legato da comune e affettuosa militanza. In un’intervista a Italia Oggi dice di aver visto l’ex segretario in televisione e di averlo trovato “strano molto strano ma strano davvero”, c’è qualcosa in quella sua chiusura che va al di là del razionale, non prende più posizioni chiare come un tempo, “adesso si arrampica, farfuglia, tartaglia addirittura”.
Staino non può essere tacciato di renzismo, semmai è renziano per mancanza di meglio, ma è esterrefatto all’idea che gli ex Pci non abbiano mai digerito Renzi, lo tengano sul gozzo da sempre e non vedano l’ora di buttarlo a mare, lui e un governo che qualcosa di buono l’ha fatto, le unioni civili, la legge sulla nazionalità per i minori, e comunque secondo Staino è il più a sinistra, il più progressista d’Europa. Far fuori Renzi e correre il rischio di aprire la strada alla inadeguatezza ignorante e pericolosa dei 5 stelle è oltre la comprensione anche del più cinico fra i comunisti di lungo corso.
LE CERTEZZE DI BRUNETTA
Chi è sicuro di avere già vinto è Renato Brunetta. A Marcello Pera, figura storica di Forza Italia che ha preso posizione per il sì insieme al professore Giuliano Urbani ed è convinto che lo stesso Berlusconi ci stia ripensando, risponde in modo stentoreo che non è vero niente, che il capo di Forza Italia è convintamente dalla parte del no, determinato a fare campagna e a spostare così quel 3- 5 per cento di voti personali che andrebbero ad aggiungersi al 53-55 per cento già raggiunto attualmente dal no. Dice che Pera non ha nessuna idea delle violenze perpetrate da Renzi contro il Parlamento e il centro-destra, (ma che gli avranno mai fatto al povero Brunetta). Aggiunge che la riforma della Costituzione avviata dal centro-destra e poi bocciata dal referendum del 2006 quella sì che era una grande riforma, non questo pastrocchio che anziché superare il bicameralismo paritario ne produrrà uno caotico, due Camere che rischiano di avere due colori politici diversi, in più distruggendo il federalismo e attribuendo poteri eccessivi al premier. Da ultimo la riforma costituzionale non dovrebbe dividere il paese. Brunetta, ma che stai a dire, non ti ricordi quelli del “colpo di stato permanente”?
TALLERI ALLA LIVORNESE
Il sindaco grillino Nogarin ha presentato il tallero, moneta complementare che affiancherà l’euro nei negozi che aderiscono all’iniziativa, per ora una trentina, ed espongono apposita insegna. La banconota, bruttina assai, (voto 3) avrà tre tagli da 1 da 5 e da 10 e dovrebbe dare un boccata d’ossigeno al consumo dei livornesi e al commercio. Essendo il tallero un buono sconto, chi paga lo sconto? A occhio la fiscalità locale, ovvero i cittadini stessi di Livorno. O quelli di Roma quando una moneta complementare sarà introdotta anche nella capitale, la Raggi si disse favorevole in campagna elettorale: torneremo dunque agli anni in cui era sparita la moneta e giornalai e tabaccai ci davano di resto pezzi di carta e caramelle.
SCALFARI VERSUS DI BATTISTA
Il confronto a Otto e mezzo tra il Fondatore e Er Pischello ha avuto momenti surreali come si conviene allo choc di due mondi. A un certo punto crediamo di capire che Scalfari voglia sapere perché Dibba ha scelto di militare fra i 5 stelle e non di farsi difensore della classe operaia, quindi militare nella sinistra, nel Pci o in subordine nei sindacati dove spiccano figure come Di Vittorio. Il fluire del tempo tutto travolge, le ère si accavallano, a Er Pichello gli viene l’occhio da merluzzo appena pescato e non trova niente di meglio che dire che Berlinguer era morto. Speriamo che da questa domenica Minoli ci restituisca il sapore antico del contraddittorio come si deve.
TOGATO 1
Felice Casson, già deformato culturalmente da una lunga militanza togata, ha spiegato in un articolo sul Fatto le ragioni della sua opposizione alla riforma costituzionale. Tra le altre cose che un sindaco possa farsi eleggere al Senato solo per aver l’immunità: sempre il reato e la pena, ma che palle.
TOGATO 2
Anche la Raggi si attacca alla coda della toga: per il posto di capo gabinetto, vacante da fine agosto per le dimissioni del magistrato Carla Raineri, sta vagliando il nome del magistrato in pensione Raffaele Guariniello. Ormai non fa più un passo senza magistrato. Per dirla con Bobby Solo, non c’è più niente da fare, è stato bello sognare.