Brugnaro, Sala e Tosi
Il partito dei sindaci (diversi) che dice Sì e non ha paura di Trump
Milano. Altro che Maurizio Costanzo che intervista Ivana Trump e fa piangere Simona Ventura. Anche il Foglio, nel suo piccolo, mette in scena lo show della politica in diretta. Sul palco del Franco Parenti col sindaco di Verona Flavio Tosi, post leghista che vota Sì, c’è Beppe Sala di Milano quota Pd a capo dei sindaci del Sì, e si discute, con larghe vedute globali, di “Il futuro delle città e la crescita del paese. Come si ricostruisce l’Italia?”. Però, siccome il futuro dell’Italia passa sì dalla Brexit, sì dal ribaltone di Trump, sì dalle sanzioni (da togliere) a Putin, ma passa soprattutto dal referendum costituzionale, è Beppe Sala a stuzzicare per primo il terzo sindaco sul palco, Luigi Brugnaro di Venezia, industriale non-politico di centrodestra: “Qui siamo due sindaci per il Sì e uno per il No”, dice Sala. E Brugnaro: “Beh…”. Come? L’unico sindaco di grande città rimasto al centrodestra, non vota No? “Sì, no… Io l’ho detto a Renzi che ha impostato male, doveva spacchettare, io rimpiango il patto con Berlusconi…”. Tira e molla, e Claudio Cerasa sfodera l’iPhone. Matteo Renzi risponde, gli passa Brugnaro. Poi: “Il Sì è un voto per guardare avanti. La riforma fa abbastanza schifo, ci tureremo il naso”. Brugnaro vota Sì.
Acquisito con virtù teatrale un voto prezioso e pesante, il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro del centrodestra, alla causa del Sì, il futuro del paese grazie al contributo delle città passa però anche per le altre cose. Il vento di Trump, la Brexit, il Mediterraneo, la capacità dell’Italia di cogliere il momento, e di navigare in tutto questo. Bel dialogo, e con qualche sorpresa: Flavio Tosi, post leghista veneto che è contro l’autogol della Brexit, e avrebbe preferito la serietà al potere di Hillary Clinton al posto di un finto outsider che ha fatto promesse che non manterrà. Su Trump, Beppe Sala preferisce tenersi il suo giudizio, negativo. Su Trump, Brugnaro è invece positivo: soprattutto perché ha trattato con rispetto Putin, e Putin, per Venezia, è qualcosa di più del mercante d’oriente: sono il turismo crollato in Laguna, sono i camion di insalatina veneta marciti al confine per le sanzioni scaricate sull’Europa, sono soprattutto il caos del Mediterraneo che è contro l’Italia del mare, dei commerci, delle rotte per il nord. Sulla Brexit, Sala è operativo: ci sono frotte di investitori e di finanza pronti a traslocare a Milano. Ma la finestra non è per sempre, servono scelte subito: una flat tax area, incentivi economici, quadro legislativo chiaro e una giustizia che funzioni. Insomma i contenuti del “patto per Milano” messo a punto con il governo. Ma soprattutto le riforme da fare, tante benedette e subito (“se vince il No, Mattarella non darà il reincarico a Renzi, che nemmeno lo vuole. Ci sarà un governo per la legge elettorale, ci vorrà un anno e sarà un anno perso, la finestra delle opportunità rischia di chiudersi”, dice Sala).
Ed ecco il punto, quel che chiedono le città, quale esempio possono dare al paese. Più facile spiegarlo dal punto di vista di Milano. Non è soltanto la capitale economica e finanziaria, non è soltanto il brand attrattivo delle cose fatte bene. E’ la capacità di mettersi insieme, di fare sistema in modo virtuoso. Questo è ciò che Milano può indicare all’Italia, soprattutto al sud, l’efficienza e la rapidità amministrativa: “I tempi delle grandi opere, e per non perdere i fondi europei, è su questo che oggi, e con la riforma lo sarebbe anche di più, mettiamo alla prova il sud”.
Ci sta e un po’ non ci sta, Brugnaro. Non invidia a Sala il brand – Venezia è attrattiva nel mondo non solo per l’arte, non dimenticatelo voi di terraferma. Ma è una capitale diplomatica: una città che ha accolto tutti, gli ebrei e gli armeni, e i mori, basta rispettassero le leggi. Ha un ruolo nel mondo, Venezia. Ed è un gran distretto industriale – da Porto Marghera al manifatturiero – che chiede solo di essere messo in condizioni di competere. Invidia, a Sala, un “patto per Venezia” (di questo discute con Renzi). Cioè le condizioni per poter operare. Che vogliono dire, in Veneto (Flavio Tosi approva) avere vista lunga sul mare, sulla possibile piattaforma logistica europea che l’Adriatico può tornare ad essere. Piani strategici di lungo termine, altro che chiudere le frontiere con la Russia. E la manifattura, cos’è questa poca attenzione di Roma “al Veneto che conta più della Baviera”? E ancora una volta, sguardo globale, per Brugnaro è un viva Trump. Perché se le fabbriche le chiudi, se i redditi calano, se i giovani li bastoni e non gli dai lavoro dove sono, allora addio al futuro.
Tosi, il post leghista che vota Sì, è sindaco di una città d’industria e frontiera. Di Trump gli piace solo il fatto che c’è uno squillo di rivolta, che viene dalla gente e contro una politica lontana. Ma sa che il futuro, e non solo di Verona, è fare sistema. Sa che conta di più l’Alta velocità per fare di Milano-Verona un unicum di sviluppo. Per questo sa che il No al referendum sarebbe un disastro: “Verona è la seconda piazza italiana per la finanza, dopo Milano. Se passa il No, per noi torna la crisi finanziara del 2011. Per gli investimenti stranieri in Italia sarà decisiva la vittoria del Sì al referendum”. Concorda anche Sala, concorda Brugnaro. C’è solo una cosa che riguarda il futuro su cui non vanno d’accordo, l’immigrazione: come gestirla, o forse è meglio fermarla, o forse bisogna integrarla. Ma per il resto, e non soltanto per il Sì strappato dal palco a Brugnaro, quel che emerge da un dialogo per una volta non propagandistico tra tre amministratori di tre aree politiche diverse, è un segnale di quello che servirebbe all’Italia. Forse non proprio un “partito della nazione dei sindaci”, ma una politica pragmatica che sa che il tempo è poco e che alcune scelte sono obbligate. “Se passerà il Sì sarà merito di Renzi di aver convinto una parte del centrodestra”. E se lo dice il post leghista Tosi.