Beppe Grillo (foto LaPresse)

Il Direttorio cancellato e la Rete che decide (con l'uomo solo al comando)

Marianna Rizzini

L'autoinganno a 5 stelle. Come non detto, la democrazia digitale non ha sempre ragione.

Roma. Come non detto, la democrazia digitale diretta non ha sempre ragione. E anche se nel novembre del 2014 la Rete di attivisti a Cinque stelle aveva dato il suo benestare alla nascita solenne di un Direttorio (91,7 per cento di voti sul blog di Beppe Grillo), può capitare, com’è capitato qualche giorno fa, che Beppe Grillo dica: “Direttorio finito”. E anche se c’era qualche indizio – quel pasticciaccio di Luigi Di Maio depotenziato in quel di Nettuno, a fine estate, e il mini-direttorio che a Roma doveva affiancare Virginia Raggi che in meno di tre mesi si autocancellava – pareva tutto sommato compiuto il passaggio da movimento liquido e “dal basso” (però con il tandem Grillo-Casaleggio dall’alto a governare) a movimento ancorato ai corpi intermedi. E sembrava anche ormai assimilato come eterna routine il dibattito tra chi aveva digerito e chi non aveva digerito il Direttorio, tra chi voleva altri sotto-ufficiali e chi ancora si ostinava a credere nell’utopia-distopia dell’assemblea virtuale che tutto può (fino a che Beppe Grillo non dice “basta”).

E però la democrazia digitale con Direttorio, evidentemente, non era il migliore dei mondi possibili: liti, sottoliti, divisioni nelle famigerate “correnti” che tanto facevano assomigliare il M5s ai famigerati partiti, e poi sindaci ammutinati, sindaci non ammutinati, sindaci invisi ai soldatini di collegamento con il quartier generale. E a quel punto, in settembre, a Beppe Grillo era toccato il compito ingratissimo di cancellare il passo indietro promesso (o minacciato) tante volte: torno al teatro e faccio il garante – anzi no, resto qui e faccio il capo politico. Il lessico è tutto, quando c’è, alla base, un magma sempre cangiante di attivisti internettiani, attivisti che sempre e comunque devono sentirsi sommi decisori, perché su quello si basa il patto della democrazia digitale (che però, come la democrazia non digitale, si ritrova ad aver bisogno di un vertice). Risultato: un continuo avanzare e arretrare lungo la linea sottile delle piccole verità che diventano piccole ipocrisie e delle piccole ipocrisie che diventano piccole verità: via il Direttorio, deciderà tutto la Rete (anche se la Rete aveva appunto già deciso di mettere tra Grillo e se stessa un Direttorio); sotto al tappeto il ruolo morbido del Garante, torna il ruolo non morbido del Capo.

 

 
Ma a Roma, dove la retorica del governo digitale dal basso, unita alla grancassa sui partiti marci e compromessi con la Mafia Capitale, aveva dato frutti elettorali, nessuna giravolta verbale era riuscita a nascondere il gran disaccordo fiorito all’ombra dell’elezione di Virginia Raggi, con Paola Taverna, Fabio Massimo Castaldo e Gianluca Perilli che si dimettevano da se stessi con parole apparentemente concilianti: “Oggi quella macchina amministrativa è partita ed è giusto che ora proceda spedita – diceva il triumvirato dimissionario – Per questo, con lo stesso senso di responsabilità di allora, riteniamo che oggi il nostro compito non sia più necessario. Non faremo mai mancare all’amministrazione capitolina il nostro sostegno e il nostro contributo continuando a portare avanti il nostro lavoro nelle istituzioni in cui siamo stati eletti. I gravi problemi della Capitale, vessata da anni di malapolitica, continueranno ad avere per noi l’attenzione che meritano. Auguriamo al sindaco e alla sua squadra i migliori successi, nell’interesse della città e della cittadinanza tutta”. Ma era chiaro, sottobanco, che non solo a livello nazionale il Movimento dal basso aveva sentito il bisogno di potenziare l’uomo dall’alto ed ex comico Beppe Grillo, ma che pure a livello locale la donna dal basso Virginia Raggi non poteva procedere affiancata da figure-ombra – e il più delle volte in disaccordo. Tuttavia la Rete va blandita ancora, motivo per cui Beppe Grillo, nel momento in cui cancella la decisione dal basso, promette che sempre dal basso verrà decisa, in gennaio, la futura squadra governativa. 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.