Sicurezza a Milano
Controlli, pattuglie miste, regole. Il “modello Rotterdam” dell’assessore Rozza che cambia la sinistra
Milano. Migliorista quando c’era ancora il Pci, oggi Carmela Rozza, assessore alla Sicurezza e alla Coesione sociale della giunta Sala, ha un ruolo chiave nell’amministrazione della città che vuole essere un modello per l’Italia. Ossia combattere con decisionismo il degrado delle aree più critiche nelle periferie milanesi. Luoghi che conosce molto bene perché per anni è stata segretaria del Sunia, il sindacato degli inquilini, all’interno della Cgil. Già assessore ai Lavori pubblici con Giuliano Pisapia, ammette senza problemi di sentirsi più a suo agio con Beppe Sala, da cui ha ricevuto, in pratica, un pieno mandato, quasi carta bianca, sulle politiche securitarie. “Questa è una giunta a trazione riformista, meno ideologica di quella di Pisapia in cui su questi temi contavano più le parole d’ordine che i fatti”, spiega al Foglio senza mezzi termini. E lei, siciliana, propensione al comando, carattere irruente, ha deciso di prendere la questione della sicurezza di petto. Perciò ora ha una splendida ossessione. Fare diventare Milano come Rotterdam. Per questo ha deciso di riorganizzare entro marzo del 2017 la gestione della Polizia municipale. E di creare pattuglie di trecento “ghisa” per il presidio del territorio con presenza nelle loro squadre di studenti arabi. Persone da reclutare nei master universitari dedicati alla sicurezza urbana per combattere e/o prevenire la radicalizzazione islamista nei quartieri più critici, come il quadrilatero della vecchia San Siro, dove hanno abitato diversi terroristi, come Fezzani, di recente arrestato in Sudan.
E dove negli appartamenti Aler, per lungo tempo completamente abbandonati a se stessi, il racket degli alloggi è nelle mani degli egiziani che gestiscono un via vai monitorato con difficoltà dalle forze dell’ordine. “La mia idea è questa”, spiega. “Ispirandomi a ciò che ho visto a Rotterdam, dove ci sono 145 nazionalità e tassi di presenza di immigrati che in alcuni quartieri raggiunge il 45 per cento, la polizia di quartiere ha un coordinatore di origine straniera che ha due compiti: decifrare i segnali di radicalizzazione e creare un dialogo con i residenti per capire le dinamiche sociali”. E siccome in Italia abbiamo un’immigrazione troppo recente per avere vigili urbani di origine straniera, allora ha pensato di utilizzare gli studenti figli di immigrati. Dopo stage appositi”. Consapevole, come il sindaco Sala, che la questione della legalità non deve essere lasciata alla destra leghista-lepenista e alle sue continue strumentalizzazioni ed entrare con forza nell’agenda del centrosinistra, l’assessore Rozza vuole creare delle pattuglie che presidino il territorio con due obiettivi. Capire le dinamiche sociali, creando un ponte e un dialogo con chi abita nelle aree più problematiche e far capire ai residenti stranieri che non deve esistere più un noi e un voi perché le regole devono essere rispettate e condivise da tutti.
Ed è per questo motivo che ha assoldato come consulente l’ex magistrato Stefano Dambruoso, firmatario della legge contro la radicalizzazione in Parlamento, per fare dei corsi alla polizia urbana e aiutarli capire come decifrare i segnali di radicalizzazione nei quartieri ghetto e fornire competenze e sensibilità multiculturali adatte. “Queste pattuglie saranno usate anche in quartieri a maggioranza cinese o latinoamericana per fare degli esempi. A Milano ci sono seimila residenti abusivi negli alloggi popolari di cui non sappiamo nulla. Non sappiamo chi ci abita, non conosciamo le dinamiche sociali. La repressione è importante per contenere, ma da sola non è sufficiente. Dobbiamo creare dei ponti con le scuole, con i comitati dei quartieri e organizzare dei tavoli di lavoro con i presidenti dei municipi. Se vogliamo evitare gli errori che sono stati fatti nei paesi europei colpiti dal terrorismo, dobbiamo capire cosa accade nei caseggiati-ghetti. Sapere chi sono quelli che arrivano, vanno via e poi ritornano. E questo si può fare con un presidio del territorio che sia intelligente. Senza sostituirsi alle forze dell’ordine, io devo avere una mappa sociale di ciò che accade nelle aree critiche della città che governiamo. Conoscere le esigenze dei residenti e sapere se si creano dei sottoscala dove si prega abusivamente.
Carmela Rozza ammette di vedere la questione sicurezza un po’ all’americana. “Più forze dell’ordine ci sono, meglio mi sento”, scherza anche se sa bene che i blitz concordati fino ad ora con la prefettura fino servono soprattutto a rassicurare i cittadini, a fare capire che lo stato c’è e li protegge. Sa benissimo che quello fatto giorni fa nel “boschetto della droga” di Rogoredo, una piazza di spaccio che frutta 30 mila euro al giorno, si ricostituirà in un altro luogo. O che un blitz negli alloggi abusivi serve a dare dei segnali, ma non è sufficiente se non si neutralizza chi gestisce il racket degli alloggi. Ed è per questo che ha preso come consulente un italo-tunisina per inserire nei comitati di quartiere anche donne arabe, più emancipate. Nella speranza che serva come incoraggiamento a quelle segregate dietro un velo integrale o confinate nelle mura domestiche. Non molto amata dal suo partito – come capita spesso nei partiti – l’assessore-sceriffo si muove in modo molto indipendente. Carmela Rozza ha una personalità forte ma sa coniugare la naturale irruenza con strategie ben calcolate: per affrontare i nodi della sicurezza urbana, certo, ma anche per lanciare segnali “politici” di una sinistra diversa. Il suo approccio che coniuga politica securitaria e di dialogo per favorire l’inclusione. E una cosa è certa: sarà una spina nel fianco per quella parte delle istituzioni locali che tendono a tralasciare i problemi sociali legati al degrado, alla ghettizzazione, e soprattutto alla radicalizzazione.