Io voto un sereno No
La riforma fatta male, il mantra insopportabile del “votiamola lo stesso”. La Cassa del Mezzogiorno
Giorgio Napolitano, nel suo generoso endorsement per il Sì da Vespa, ha anche detto: “E’ importante questa riforma: non è che si facciano miracoli, ma si fanno passi in avanti. D’altronde, cosa facciamo? Dopo tutto il lavoro fatto per tre anni, lo buttiamo al vento?”. Si potrebbe obiettare che è un caso di sunk-cost fallacy, ma troppo rispetto merita la sua storia politica per stare a cavillare. Sergio Marchionne (Sì), in un inciso ha detto: “Non voglio giudicare se la soluzione è perfetta, ma è una mossa nella direzione giusta”. Per Massimo Cacciari è “una riforma modesta e maldestra. La montagna ha partorito un brutto topolino”, ma vota Sì per necessità. Arturo Parisi dice che Romano Prodi voterà Sì turandosi il naso. Giuliano Ferrara vota Sì per punto intellettuale, ma siccome è intelligente premette che non ha alcuna intenzione di leggere il testo.
A parte i diretti interessati e la tifoseria, in questi mesi ho faticato a trovare un sostenitore del Sì che dicesse: voto Sì perché è una buona riforma. L’insopportabile mantra, un crescendo ipnotico come il Bolero, ripete: non è perfetta, forse è fatta male, ma bisogna ugualmente votarla, l’aspettiamo da trent’anni. Ancora peggio: bisogna votarla perché va di mezzo il paese, va su lo spread, fallisce Montepaschi, vince Grillo. Peggio che insopportabile, proprio insultante, è l’argomento per cui a votare No si sta con Grillo, D’Alema, forse Jack lo squartatore. Perché, dalla parte del Sì, tutte vergini di Botticelli? Non si vota a squadre. Voto da privato cittadino, su un quesito che mi viene posto. Sei favorevole o no a questa riforma? A chi pone quelle obiezioni, tendenziose o fasulle, rispondo sempre, da mesi: la riforma della Costituzione va bene, serve. Ma perché farla male? Gliel’ha ordinato il dottore? Sono andati dal medico (della mutua), gli ha detto: ragazzi, dovete fare la riforma. Ma dovete farla male, eh!. Sono tornati in Parlamento: ragazzi, dobbiamo fare la riforma. Ma male, eh!, l’ha detto il medico. Non posso crederlo, ma è andata così.
Questa riforma è stata fatta male. Colpa degli inevitabili compromessi? Una delle risposte meno congrue alla mia banale domanda di cittadino che ha letto il ddl Boschi e serenamente lo boccia è stata: non c’erano i numeri per fare di più, o per abolire il Senato. Se non hai i numeri, non si fa. Punto. Trovo umiliante dover specificare che non voto No perché temo il golpe, la fine della democrazia, per odio personale o perché la riforma sfascerà il paese. Ma di questi tempi meglio essere prudenti: quindi lo specifico. Penso che il disegno di legge costituzionale firmato dal ministro Maria Elena Boschi abbia semplicemente molti limiti. Tra i tanti, alcuni infastidiscono di più. Il Senato, se non si poteva abolire, si sarebbe potuto trasformare in una vera Camera delle autonomie. Così è una strana ameba. Avrà competenze imprecisate ma comunque abnormi (“ha piena competenza legislativa… su tutte le leggi che riguardano i rapporti tra stato, Unione europea e territorio, oltre che su leggi costituzionali, revisioni della Costituzione”). Sarà composto da senatori di fatto a mezzo servizio. Ci saranno cinque senatori nominati dal presidente della Repubblica: significa che, a Costituzione invariata rispetto ai poteri del Quirinale, la riforma inventa il Partitino del Presidente. Uno svarione grosso. L’iter di approvazione delle leggi risulta così complesso che per forza di cose andrà modificato. La principale ragione per cui non mi piace questa riforma è l’ulteriore stravolgimento (non è un restauro) del Titolo V. Va benissimo che alcune competenze tornino nelle mani dello stato e del governo centrale.
Ma questa riforma prevede, nella sostanza, che i cordoni della borsa rientrino quasi tutti a Roma. Compresa la Sanità, ad esempio. Con un criterio vagamente perequativo (“determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”), significa che le regioni virtuose avranno meno autonomia finanziaria, e con le tasse dei loro cittadini saranno mantenute le regioni inefficienti, com’è sempre accaduto. La logica intrinseca è questa, si chiama mettere surrettiziamente in Costituzione la Cassa del Mezzogiorno.
Di contro, non sono stati toccati i privilegi, questi sì archeologici, delle regioni a statuto speciale, più costosi del Cnel. Una scelta dettata dall’ignavia istituzionale e da una logica di convenienza politica che non mette nemmeno conto illustrare. Per quale motivo dovrei dire Sì a una riforma malfatta? Per non votare come Salvini? Per fiducia nell’Italia? Per salvare le banche? Se il governo è fottuto, si fotta. Se il paese è fottuto (questo fottuto paese), si fotta. Non esiste un motivo al mondo per cui votare contro il proprio giudizio – personale, ma motivato – in nome di un malinteso spirito emergenziale o di solidarietà nazionale. Serenamente voto No.