Tra caso “firme” e Roma, per il M5s è sindrome da contenitore vuoto
A questo punto della storia emerge l’impossibilità, per i Cinque Stelle, di fare i Cinque Stelle: non si può più di tanto urlare “vaffa” ai “ladri” e “impostori” e “disonesti” e “indagati”, quando la trave è anche nel tuo occhio
Roma. Poteva essere, questa, per i Cinque Stelle, la campagna tonitruante di chi sa di avere i sondaggi a favore (sul “No” al referendum e in generale come forza politica anti-establishment, per di più nel momento in cui si sono rivelati anti-establishment gli elettori di mezzo mondo anglossassone). E infatti così era partita, un paio di mesi fa, la campagna referendaria, con Beppe Grillo che, in quel di Nettuno, e nonostante fosse già emerso qualche problema nella Roma del grande scontento, si era lanciato alla conquista degli indignados ancora indecisi con una serie di “vaffa” d’antan, autorassicuranti per se stesso e per la base: vaffa al sistema, vaffa ai partiti putrefatti, vaffa a Matteo Renzi, vaffa ai suoi complici interni ed esterni. E anche se il caso Roma, con dimissioni simultanee di assessori e capi delle municipalizzate, aveva fatto dire a più di un Cinque Stelle, all’inizio di settembre, “qui abbiamo un problema”, non si pensava certo di ritrovarsi, alla vigilia del voto, con i sondaggi sempre a favore, ma con molto imbarazzo inestirpabile, da gestire in piazza e sui social network (vedi alla voce firme false in Sicilia, con ricaschi a livello di “sospensioni” di parlamentari; e vedi istruttoria dell’Autorità nazionale anti-corruzione sul ruolo del capo personale di Virginia Raggi Raffaele Marra e sulla nomina di suo fratello Renato alla guida della Direzione turismo).
Ed è a questo punto della storia che emerge l’impossibilità, per i Cinque Stelle, di fare i Cinque Stelle: non si può più di tanto urlare “vaffa” ai “ladri” e “impostori” e “disonesti” e “indagati”, quando la trave è anche nel tuo occhio. Né ci si può mostrare garantisti a corrente alternata com’era accaduto finora: bisogna fare i garantisti sempre, con un indagato siciliano al giorno. Che cosa dire, infatti, nel momento in cui si potrebbe essere più che mai polemici, se bisogna stare attenti a ogni particolare, come mai lo si è stati dai tempi dello Tsunami Tour, visto il rischio di essere apostrofati sul web come incoerenti o, peggio, come quelli che fanno “come fan tutti”? E di quali parole, ora, possono caricarsi i “contenitori” umani di vis polemica grillina variamente istituzionalizzata (vedi Luigi Di Maio, vedi Roberto Fico, che ora si aggirano con aria circospetta e un po’ dimessa per tv e aule parlamentari, come ingessati nei tanti non-detti, i concetti passepartout su purezza e diversità antropologica a Cinque Stelle che non si possono più dire, pena la scomunica dell’attivista ignoto, ora disorientato dall’umano errare degli eletti? E’ come avere i generali schierati in campo ma azzoppati (Di Battista fa caso a sé: esterna e basta). Non si può omettere, sulle firme e sul caso Roma, ma neanche addentrarsi troppo nelle terre insidiose dei distinguo e degli “aspettiamo che la magistratura giudichi”, ché c’è sempre qualcuno che può dire “e allora, quando lo facevano gli altri e voi gli urlavate contro?”. E se Fico può almeno rifugiarsi nell’argomento Rai, essendo presidente della Commissione di Vigilanza, il Di Maio vicepresidente della Camera deve tutti i giorni pattinare sul bordo dell’abisso (“nel M5s…ci potrà essere sempre chi sbaglia, l’importante è come reagiamo noi, senza stare a guardare o aspettare ipocritamente le sentenze di terzo grado…”, diceva ieri, per cercare di arginare il dilagare di commenti sulle firme a Palermo).
La exit strategy cerca di indicarla Beppe Grillo in persona: puntare sul grande classico della diversità a Cinque Stelle (il “restitution day” di Firenze) e sull’evocazione di altri mondi, come nella migliore prosa e videoproduzione casaleggiana (nel senso di Gianroberto). Ecco infatti la lettera aperta postata due giorni fa dal comico: “…Noi siamo quelli che avrebbero voluto essere, siamo loro da giovani. Voi siete la prima generazione del Movimento… siamo un esperimento, siamo gli eredi del mondo che verrà…Noi siamo i perdenti e anche un po’ poeti. Imparate ad essere perdenti. Fallire nella vita è accedere alla poesia senza bisogno di talento. Il successo è per il 99 per cento fallimento…”.