Le tentazioni della Ditta (vedi anche alla voce Zingaretti)
L'idea di lavorare per una specie di Nuovo Ulivo gigante, Ulivo Bis rivisitato e ricostruito, affidandosi a un nume tutelare, a una personalità in qualche modo di garanzia
Roma. E’ il giorno dell’amarezza (per Matteo Renzi e la maggioranza Pd), ma anche il giorno delle impensabili, sornione ostentazioni di magnanimità all’inglese, come quella di Massimo D’Alema, eminenza nera del No che se ne esce con la frase: “In tanti nel Pd sono pronti ad azzannare Renzi, non io…” (e pazienza se l’azzannare, in questo caso, è già stato atto metaforico preventivo). E’ il giorno in cui si cercano soluzioni di governo (Renzi sale al Colle), ma anche il giorno in cui nel Pd non renziano, in attesa della direzione (spostata a domani alle 15), si accarezzano due tentazioni, non necessariamente confliggenti l’una con l’altra, e anzi ipoteticamente entrambe percorribili in momenti successivi: due costruzioni alternative al castello sbrecciato di colui che, all’occhio bersaniano, ha rottamato-usurpato la povera (e intoccabile?) Ditta. Prima tentazione: presentarsi come il Nuovo partito della Nazione, ovvero come coloro che, connettendosi al “popolo di sinistra” inascoltato del No, possono salvare l’Italia da Beppe Grillo (pur essendo stati fino a domenica alleati referendari di Grillo). Ed ecco che Roberto Speranza, deputato e giovane leader della minoranza pd, già in lizza per il futuro congresso, lungi dall’accodarsi a chi, come il collega Francesco Boccia, chiede le dimissioni di Renzi dalla segreteria (“per correttezza dovrebbe mettersi da parte anche come segretario di partito, come ha fatto Bersani nel 2013”, dice Boccia), butta direttamente la rete verso il mare ribollente degli indignados buoni, quelli considerati non antipolitici, forse recuperabili, forse già recuperati (le percentuali alte del No consentono che anche l’illusione, per un po’, possa sembrare certezza): “E’ un bene per il Pd”, dice Speranza, che parte del Pd “abbia fatto la campagna elettorale per il No”, consentendo di “mantenere il contatto con la grande maggioranza del popolo del centro sinistra che ha votato contro la riforma”.
E dunque non si è stati complici dei populisti, secondo questa auto-esegesi, ma argine alle peggiori forze antististema. E se non basta a crederci, c’è subito dietro l’angolo la seconda tentazione: lavorare per una specie di Nuovo Ulivo gigante, Ulivo Bis rivisitato e ricostruito. E se Romano Prodi ha votato Sì tanto meglio, ché il suo Sì viene letto come “inclusivo”. Ma come crearlo? Affidandosi a un nume tutelare, a una personalità in qualche modo di garanzia, a un politico che venga dalla Ditta ma sia anche non più e non solo della Ditta, e quindi possa fungere da “uomo dello schermo” per operazioni post-renziane, ma non percepibili come smaccatamente antirenziane. Una personalità di spicco, ma che non sia stata al governo con Renzi, come i pur possibili altri “uomini dello schermo” Maurizio Martina e Andrea Orlando, figure di confine tra i due Pd. Ed ecco che l’uomo giusto si materializza con una dichiarazione nel giorno giusto: ecco Nicola Zingaretti, governatore del Lazio che ha votato Sì ma non picchia sulle tesi del No, anzi pare volersi mettere orecchio a terra a captare segnali: “C’è ora bisogno di tanta politica”, dice Zingaretti, “dobbiamo lavorare sulla ricostruzione di un forte partito unitario e, questo l’ho sempre detto, capire come rigenerare un campo di forze. L’isolamento alla fine si paga, e tutto questo lo abbiamo visto”.
E mentre Boccia invita Renzi ad “aprire subito il congresso”, ricandidandosi se vuole ma “da semplice iscritto al Pd”, Enrico Rossi, governatore toscano (anche aspirante alla segreteria), dice che ora al Pd “serve un leader diverso”, ché “abbiamo perso nonostante la riforma contenesse buone ragioni di merito. E’ vero che si è espresso un giudizio anche su Renzi, soprattutto a causa dell’errore di personalizzazione che lui stesso ha riconosciuto. Ma un’affluenza così alta e un risultato così netto, se sarà confermato, indicano una scelta più di fondo nel popolo italiano, tra chi vuole cambiare e chi vuole conservare la nostra Costituzione”. La suggestione del “centrosinistra unito” si risveglia nel day after della batosta refendaria a partire dai cosiddetti “territori”, croce e delizia del Pd renziano e non. Tempo di riprendersi dalla nottata referendaria e subito risuona l’annuncio di Virginio Merola, sindaco di Bologna, che per il 19 dicembre lancia un’iniziativa: “Vogliamo farne una ‘dichiarazione di Bologna’ con tutti quelli che sono interessati a portare avanti un’ipotesi di centrosinistra unito, una proposta alternativa di governo, capace di mettere al centro la lotta alle diseguaglianze, di recuperare la frattura con i giovani, di investire sul lavoro…di dare una prospettiva a questo paese…Renzi ha ammesso la sconfitta e lo ha fatto in modo inedito per questo paese…per ricostruire abbiamo bisogno che non solo Renzi si faccia da parte, ma che ci sia una disponibilità da parte di tutti di trovare una strada nuova…”. Non a caso Pier Luigi Bersani, autolodandosi su Facebook per aver “visto giusto”, parla di “nuova e grande questione sociale”.